L’OPINIONE – Alberto Heimler: Palestina libera o Allahu akhbar?

Quando nel 2005 Israele cessò di occupare Gaza, l’aspettativa era che si stava creando un percorso di pacificazione. Per alcuni la Striscia sarebbe potuta diventare la Singapore del Medio Oriente e una delle mete preferite del turismo internazionale. Se la pacificazione fosse stata veramente avviata avremmo oggi uno Stato palestinese a Gaza e in Cisgiordania.
Nella Striscia, invece, si è solo pensato ad armarsi, non per difendersi, ma con l’obiettivo dichiarato di cancellare Israele. Le centinaia di milioni di euro donati a Gaza nel corso degli anni non hanno innescato alcun percorso di crescita né favorito lo sviluppo economico ma sono stati utilizzati solo per il rafforzamento delle sue capacità offensive. I 400 chilometri di tunnel sono un’opera colossale la cui funzione non è creare dei rifugi e proteggere la popolazione da Israele – come farebbe qualsiasi governo che avesse a cuore il benessere dei propri cittadini, anche se senza l’ostilità palestinese Gaza non sarebbe stata invasa –, ma nascondere i miliziani e favorire azioni di sorpresa e attentati: i terroristi escono dai tunnel, sparano, colpiscono e poi spariscono nel sottosuolo. I cittadini inermi fanno da scudo umano. E non è un accidente: nascondersi dietro i civili è una strategia specifica di Hamas. Sono loro i colpevoli delle migliaia di morti. Senza la cautela dell’esercito israeliano, i morti civili potevano essere centinaia di migliaia.
La soluzione due popoli-due Stati è ancora possibile in questo contesto? Si tratta di un disegno razionale che dovrebbe essere nell’interesse di tutti. Innanzitutto, concede ai palestinesi il diritto all’autodeterminazione. Quindi risolve il problema demografico e consente il mantenimento dell’ebraicità dello Stato di Israele (altrimenti messa in discussione in prospettiva dalla popolazione araba palestinese). Infine, conduce alla pacificazione della regione.
C’è però un ostacolo grande come un macigno. La guerra che i palestinesi di Gaza hanno innescato il 7 ottobre è una guerra santa di matrice islamica estremista, non è una guerra di liberazione nazionale. La guerra santa prevede solo un’opzione: la cacciata degli ebrei da Israele. E non si tratta di una posizione di un piccolo gruppo terroristico come si pensa qui in Italia, ma è ampiamente diffusa nella popolazione e anche, purtroppo, in una parte del mondo islamico. Quando fu chiesto a Yasser Arafat a Camp David di condannare gli atti terroristici palestinesi balbettò qualche frase in inglese, ma mai è arrivata una condanna esplicita del terrorismo dalla leadership palestinese (non solo da parte di Hamas, quindi), condivisa con il suo popolo. I miliziani che il 7 ottobre bruciavano, torturavano e ammazzavano, gridavano Allahu Akbar, non Palestina libera. I palestinesi non vogliono due Stati che vivano in pace, magari federati come molti all’estero auspicano. Vogliono il cessate il fuoco per poter nuovamente attaccare Israele con maggior forza. Il loro obiettivo dichiarato è creare una Palestina libera dal fiume al mare. E degli israeliani (che loro ufficialmente non riconoscono, li chiamano forze occupanti) cosa succederebbe? Se ne tornino da dove sono venuti dichiarano i leader di Hamas. Peccato che la larghissima maggioranza dei cittadini di Israele non ha un luogo dove tornare.
È chiaro che a queste condizioni Israele potrà solo accettare una cessione di sovranità molto graduale e certamente non nelle mani di Hamas. Altrimenti la sicurezza di Israele sarebbe in pericolo. La leadership di Hamas sostiene di non volersi arrendere. Mai, dicono. Sono però troppo ottimisti. I tunnel vengono distrutti ogni giorno, gli approvvigionamenti di armi sono difficili. A un certo punto Hamas cederà. Lo stesso non si può dire di Israele, la cui popolazione continua a essere unita: non ci sono diserzioni, non ci sono genitori che protestano quando i loro figli sono chiamati sotto le armi, non ci sono manifestazioni studentesche contro la guerra, non ci sono uomini politici di opposizione, da Gantz, a Lapid a Bennett, che abbiano formulato una proposta alternativa alla guerra in corso. Le manifestazioni per la liberazione degli ostaggi hanno una motivazione umanitaria e solidaristica, non sembrano condurre, perlomeno finora, a un’evoluzione di natura politica.
Gli ostaggi certamente devono essere liberati, ma non a qualsiasi condizione. È vero che queste condizioni cambiano nel tempo, ma anche l’opposizione non ha finora formulato una chiara strategia alternativa.
Quando Hamas si arrenderà le ostilità finiranno, anche quelle sul confine nord. Gli accordi di Abramo riprenderanno vigore e soprattutto l’Arabia Saudita riconoscerà Israele, indebolendo il fronte iraniano. Israele però non si ritirerà completamente da Gaza. Solo una nuova generazione di leader palestinesi potrà conquistarne la fiducia. La soluzione due popoli-due Stati deve purtroppo attendere.

Alberto Heimler, economista