LA POLEMICA – E. Calò: Odiare Israele può causare surmenage accademico

Hannah Arendt nel suo libro Le origini del totalitarismo, scrisse che «L’efficacia di questo tipo di propaganda dimostra una delle principali caratteristiche delle masse moderne. Non credono a nulla di visibile, alla realtà della propria esperienza; non si fidano dei loro occhi e delle loro orecchie ma solo della loro immaginazione, che può essere catturata da tutto ciò che è allo stesso tempo universale e coerente in sé. Ciò che convince le masse non sono i fatti, e nemmeno i fatti inventati, ma solo la coerenza del sistema di cui presumibilmente fanno parte. La ripetizione, la cui importanza è alquanto sopravvalutata a causa della credenza comune nell’inferiore capacità delle masse di afferrare e ricordare, è importante solo perché le convince della coerenza nel tempo. Ciò che le masse rifiutano di riconoscere è la casualità che pervade la realtà. Sono predisposti a tutte le ideologie perché spiegano i fatti come semplici esempi di leggi ed eliminano le coincidenze inventando un’onnipotenza totalizzante che dovrebbe essere all’origine di ogni accidente. La propaganda totalitaria prospera su questa fuga dalla realtà alla finzione, dalla coincidenza alla coerenza».
Tradotto in termini più semplici, vuol dire che, chi segue degli schemi ideologici oppure, oggi giorno che le ideologie non vanno più di moda, chi crede che gli ebrei rubino la terra, abbisogna di frasi fatte senza le quali non potrebbe vivere. Soprattutto, le frasi fatte consentono di fare a meno della realtà. Un professorino arrabbiato, che è ossessionato con Israele, riesce a scrivere del conflitto in corso a Gaza, accantonando spesso le ragioni oppure ridimensionandole (il 7 ottobre), e fa proseliti sui social media, discorrendo della (per lui) efferatezza israeliana, come se fosse una sorta di maledizione sulle cui ragioni non fosse necessario soffermarsi. Dispiace dover dar ragione ad Hannah Arendt, per ragioni sulle quali oggi non voglio scrivere, perché in questo momento mi preme sottolineare quale nonsenso vi sia nel trascurare del tutto la realtà, attaccandosi al mero dolore. Tutto questo, che è profondamente antiscientifico, ricorda da vicino lo studio e la memoria dell’Olocausto, laddove si basino sul mero dolore, così confondendo le acque. Il mero dolore è la conseguenza, non la scaturigine. All’apertura dei lager, molti guardiani e guardiane furono uccisi subito oppure impiccati dopo, e sicuramente avranno subito un grande dolore, ma se non si spiega cosa avevano compiuto, sarà difficile capire quel dolore. Deploro Hiroshima e Nagasaki, e qui mi batto impotente al bivio fra metonimia e sineddoche: ma se ometto la menzione di Pearl Harbor e, prima, dello stupro di Nanchino, la spiegazione continuerà a latitare. Non è improbabile che questo zelo che dimostra questo docente sia dovuto a qualche bias, recondito ma che affiora prepotentemente sotto forma di nevrosi ossessiva, unita a quella prosopopea ingiustificata che, anch’essa, va a finire per estrarre dal dizionario un termine che fa parte sia del turpiloquio che degli intercalari adolescenziali. Come e perché abbiamo mandato in cattedra alcuni associati che, impegnati nella battaglia per l’ordinariato, potrebbero o dovrebbero provocare nelle commissioni qualche malcelata inquietudine? Laddove la propaganda trascura l’arendtiana «casualità che pervade la realtà», privilegiando i propri fantasmi interiori a spese della realtà, cessiamo di preoccuparci per i docenti, per dedicare le nostre amorevoli apprensioni agli innocenti, vale a dire, ai discenti. Forse dovremmo cominciare a rivedere qualche cosa e finanche a porre qualche domanda. Ad esempio, se l’accanimento sullo Stato ebraico possa diventare causa di surmenage.

Emanuele Calò