SOCIETÀ – Heschel: Portare il confronto negli atenei per svelenire il clima
A metà settembre uno studente dell’Università del Michigan è stato picchiato da un gruppo di giovani. «Sei ebreo?», gli avevano chiesto. Alla risposta affermativa del ragazzo è scattato il pestaggio. Nessuna conseguenza grave, a quanto pare. Ma il campanello d’allarme è tornato a suonare.
Sulla scia del 7 ottobre e della guerra contro il terrorismo combattuta da Israele su più fronti l’impressione diffusa è che sia in arrivo un altro anno di tensione nei campus Usa. Dall’ottobre del 2023 il clima si è rivelato d’altronde spesso tossico e ha anche innescato la cancellazione di alcuni rapporti consolidati tra atenei. Per la gioia di chi, in numerosi college, inneggia alla “Resistenza palestinese” e alla cancellazione di Israele “dal fiume al mare”.
Un segnale in controtendenza arriva dal Dartmouth College, antica università del New Hampshire che fa parte della prestigiosa Ivy League insieme tra le altre a Harvard, Princeton, Yale e alla Columbia University, epicentri della protesta anti-israeliana. A Dartmouth insegna Susannah Heschel, a capo del programma di studi ebraici. È reduce da una settimana di incontri a Roma, dove ha presentato un progetto di interazione culturale e interreligiosa lanciato proprio sull’onda del 7 ottobre. «Dialogo civile», così lo chiama. In campo risorse del dipartimento di studi ebraici e di quello di studi mediorientali, con il coinvolgimento di voci della società israeliana e palestinese. Ciascuno ha la possibilità di esprimersi, in un contesto sereno e rispettoso.
«Una collaborazione inusuale di questi tempi», spiega a Pagine Ebraiche la studiosa e “figlia d’arte”: suo padre Abraham Joshua Heschel (1907-1972), rabbino e filosofo, è stato uno dei più influenti pensatori ebrei del Novecento. L’illustre genitore «è stato un uomo dell’ascolto», racconta la figlia. “Ascolto” è una delle parole chiave del progetto, basato su buone pratiche di cooperazione. Ne ha parlato in questi mesi in conferenze nelle scuole, in testimonianze nelle università, nei teatri e in vari ambiti della società civile. L’idea di Heschel è di allargare il raggio d’azione anche fuori dai confini nazionali e da qui nasce la missione romana, dove Dartmouth ha una propria sede, con una serie di workshop che hanno portato al tavolo esperti di politica, studiosi di letteratura e religione, intellettuali e policy maker. Un obiettivo tra tanti: «Stabilire modelli collaborativi che ci permettano di ripensare gli studi sul Medio Oriente alla luce delle nuove realtà politiche». C’è intanto la necessità di «svelenire il clima, perché odio e tensioni sembrano essersi impadroniti dei campus» e più in generale del dibattito. E in molti casi «c’è dell’antisemitismo, senza troppo girarci attorno». Per la studiosa, che all’argomento ha dedicato vari scritti, l’antisemitismo può essere definito una forma di «sadismo culturale». Heschel in questo senso è la sostenitrice della necessità di «un’analisi erotostorica» del fenomeno, con l’attenzione rivolta a «emozioni, genere, sessualità». La persistenza dell’antisemitismo, pre e post 7 ottobre, può essere così spiegata anche con «l’incessante richiesta di crudeltà fisica e verbale» propria del sadismo.
Vincitrice nel 1998 del National Jewish Book Award con Abraham Geiger and the Jewish Jesus (University of Chicago Press), Heschel è una voce influente anche sul tema dei diritti civili. Nel 2015, nell’occasione dell’uscita del film Selma, a cinquant’anni dalla marcia per i neri d’America condotta da Martin Luther King Jr., un suo intervento aprì un dibattito nazionale. Con rammarico la studiosa ravvisò infatti l’assenza di qualunque riferimento, nel film, al contributo ebraico dato a quelle spinte sociali. «Per mio padre e per molti partecipanti», avrebbe raccontato in un intervento sulla Jewish Telegraphic Agency (Jta), «fu al tempo stesso un atto di protesta politica e un momento profondamente religioso: un incontro straordinario di suore, preti, rabbini, neri e bianchi». Quel giorno, a Selma, «si formarono alleanze, si superarono differenze religiose e si articolarono visioni che intrecciarono obiettivi politici e religiosi: mio padre sentì che a Selma era tornata in vita la tradizione profetica dell’ebraismo».
Nel suo libro sull’ebraicità di Gesù, Heschel riprende e analizza le reazioni a un dibattito acceso nell’Ottocento dal rabbino tedesco Abraham Geiger (1810-1874), uno dei padri dell’ebraismo riformato. Geiger collocava Gesù all’interno della tradizione farisaica e sosteneva che nei suoi insegnamenti non ci fosse nulla di particolarmente originale. Teologi protestanti reagirono infuriati alla sua tesi, con una controargomentazione basata su elementi “razziali”. Secondo Heschel, con le sue riflessioni sul tema Geiger avviò una rivolta intellettuale «dei colonizzati contro il colonizzatore, un tentativo non di assimilarsi al cristianesimo adottando Gesù come ebreo, ma di rovesciare l’egemonia intellettuale cristiana». In quest’ottica Geiger invitò a vedere il cristianesimo e tutta la civiltà occidentale come il «prodotto dell’ebraismo».
Adam Smulevich