EBREI – Sergio Della Pergola risponde a Raniero La Valle

Ho letto con grande interesse e infinito sbalordimento la Lettera ai nostri contemporanei del Popolo ebraico della Diaspora di Raniero La Valle, sottoscritta da 36 primi firmatari, aperta ad ulteriori adesioni, e diffusa attraverso il sito www.chiesadituttichiesadeipoveri.it. La Valle, come è noto, è un pubblicista e attivista politico esponente della sinistra del movimento cattolico.
In un occhiello del suo scritto si legge: «O la salvezza o la fine. Dove va il mondo? Per la fine basta che le cose vadano come stanno. Quanto alla salvezza essa «viene dai Giudei». Ma come è compatibile ciò con il genocidio di Gaza?».
Questo artificio retorico della Lettera, a dire il vero, è piuttosto liso. Le Lettere di Shaul-Paolo ai Corinzi o ai Romani fanno parte del canone del Nuovo Testamento. La Lettera agli Ebrei (di autore incerto) chiarisce la fondamentale unità ma anche distinzione fra un giudaismo realizzato in pieno nel cristianesimo, e un giudaismo non ancora riformato dalla presa di contatto con il cristianesimo. Più recente, anche se non necessariamente meno pertinente, è quella Lettera a un amico ebreo di Sergio Romano (1997). Quest’ultima discutibilissima operetta di polemica contemporanea suscitò un’indignata replica di Sergio I. Minerbi (1998) il cui sottotitolo suona emblematico ancora oggi: Ebrei, Shoah e Stato d’Israele. Tutte queste epistole hanno in comune un elemento di critica e contestazione della via perseguita dagli ebrei (a volte chiamati anche Giudei) e un invito o anche un ordine a emendarsi per il loro bene e per il bene degli altri.
Siccome il testo di La Valle è molto lungo, ne segnalo i punti principali con le stesse parole dell’autore:

  1. Le conseguenze della spietata ritorsione intrapresa dagli Ebrei della Israel Defence Forces [a Gaza], con tutto il male che porta con sé, ricadranno sull’intero popolo ebraico.
  2. Lo Stato d’Israele […] in oltre 70 anni non è riuscito a dare soluzione al problema del rapporto sulla stessa terra con un grande numero di residenti che hanno altra origine.
  3. Mentre gli Ebrei sono gli «altri» sopraggiunti a sostituire una popolazione già esistente, i nostri Stati sono la popolazione esistente a cui si aggiungono gli «altri» che arrivano sempre più numerosi, provocando in essa inevitabili cambiamenti.
  4. L’identità che rende così tipico e coeso il popolo ebraico è ben più forte e storicamente sperimentata di quella che unisce i cittadini dei nostri Stati, che sono ormai inclusi in società per larga parte multietniche e pluraliste, legittimate da ordinamenti democratici, a differenza dello Stato di Israele in cui la […] Legge fondamentale riserva i diritti di natura politica «esclusivamente al popolo ebraico».
  5. Il riferimento alla fede e alla tradizione di Israele apr[e] uno spazio fecondo di alterità fra voi, popolo ebraico della Diaspora, e i vostri fratelli ebrei dello Stato d’Israele.
  6. Siamo particolarmente raccapricciati e appare blasfema la pratica di uccidere i nemici uno per uno e promettere di ucciderli tutti invocando il nome di Dio.
  7. È ragione di arricchimento per tutti la presenza e l’integrazione degli Ebrei della Diaspora nelle nostre società laiche e nella costruzione di autentiche democrazie.
  8. Grande […] sarebbe l’importanza di una crescita del dialogo e del confronto tra il mondo della Diaspora e gli Ebrei dello Stato di Israele, in vista di un cambiamento e di una rettifica degli errori commessi [..] ai fini di un contenimento e di un antidoto […], come è stato chiamato anche da autorevoli Ebrei, al «suicidio di Israele».
  9. [Alla] nostra tradizione appartiene una parola di Gesù detta alla donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe, tramandata dal Vangelo di Giovanni, che afferma: «La salvezza viene dai Giudei». La nostra esperienza attuale e la tragedia di Gaza insinuano che ne venga invece la perdizione e la fine. […] O lasciamo cadere come infondata e inattendibile la predizione di Gesù, ma allora è tutto il Vangelo che cade, oppure la situazione presente viene rovesciata e questa profezia si traduce in lieto preannunzio di un altro futuro e in un compito da assolvere.
  10. A ciò si aggiunge, da parte della storiografia scientifica e della ermeneutica cristiana una lettura non pedissequa della Bibbia (quella letterale sarebbe secondo i teologi cattolici «un suicidio del pensiero») che non considera «storici» i libri «storici» dell’Antico Testamento, scritti molti secoli dopo i fatti narrati, e perciò non attestanti fatti effettivamente avvenuti.
  11. Per la costruzione di un’alternativa si deve ormai abbandonare la fuorviante soluzione a due Stati, anche ove mai fosse stata possibile e auspicabile in passato, e la finzione di negoziati in realtà ordinati a confermare e preservare la situazione qual è, come è stato sostenuto anche in un dialogo tra due culture diverse, quale il dialogo tra Ilan Pappé con Noam Chomski. Resta la soluzione a uno Stato.
  12. Ciò significa liberare il popolo ebraico dalla pretesa origine da un delitto fondatore, e addirittura da un passato di decreti di sterminio ed eccidi di interi popoli (molti dei quali all’epoca nemmeno esistenti) su commissione di un improbabile Dio violento, a sua volta successivamente ucciso nel Figlio, e cancellare l’intero armamentario ideologico su cui è stata storicamente fondata la persecuzione antisemita.

Fin qui La Valle. Dopo una simile grandinata di asserzioni aggressive, regressive, false, ipocrite e apodittiche, la prima tentazione sarebbe quella di ignorare la missiva. Ma forse vale la pena di spendere ancora qualche minuto per riprendere almeno alcuni dei temi sollevati, che del resto sono condivisi anche da molti altri intellettuali e personaggi mediatici contemporanei, di matrice sia cattolica sia secolare (con qualche ebreo che segue a ruota).
La proposta di La Valle, in teoria, sarebbe pacifista e universalista, se il percorso attraverso cui vi perviene non fosse talmente e singolarmente contraddittorio e offensivo nei confronti della parte a cui indirizza il suo messaggio. Mi concentro qui su cinque temi principali, cercando di inserire la lettera in un discorso di ordine più generale.

  1. Ebrei «altri»

In Europa, e in Italia dove vive La Valle, la presenza ebraica ha preceduto storicamente quella del Cristianesimo. Gli Europei e gli Italiani contemporanei sono una mistura di antichissime migrazioni di origini berbere, mongole, celtiche, saracene, e quant’ altro – incluse le migrazioni ebraiche ancora ai tempi dell’antica Roma repubblicana. La pretesa di una uniformità nella coscienza civile, culturale o perfino razziale (ariana o altra) appare oggi quanto mai caduca e implausibile. Anche in Medio Oriente e in particolare nella Terra Santa la presenza ebraica ha ovviamente preceduto di un millennio o due la cristianizzazione e poi l’islamizzazione. La presenza ebraica in Erez Israel è stata ininterrotta fin dai tempi dell’uscita dall’Egitto. La popolazione di Gerusalemme ha sempre avuto una maggioranza relativa, quando non assoluta, di ebrei. Il trattamento degli ebrei come «altri», ossia non come «noi», ma come parte di un derogativo «voi» o perfino «loro», magari come ospiti anche tollerati, non è ammissibile se una qualsivoglia forma di dialogo debba essere instaurata fra le parti diverse.

L’appropriazione indebita del «noi» e la violenza a ogni cronologia storica e a ogni sociologia delle popolazioni, esprime una gerarchizzazione dei gruppi, sia come persone singole, sia come contenuti comunitari. Implica anche un esproprio della personalità di chi conduce i giochi e della natura dei giochi stessi. Gli «altri» sono sempre sottoposti o comandati ad adeguarsi. Questa del «noi» e del «voi» è in sostanza un’operazione di colonialismo culturale in cui i colonizzatori – siano essi gli Europei, o gli Occidentali, o i Cristiani – hanno a lungo cercato di subordinare gli ebrei, o meglio «l’ebreo». Questo tipo di diade «padrone di casa»-«altro», o se vogliamo colonizzatore-colonizzato, è morta da tempo. È morta primariamente perché non ha né ragione né diritto di essere. È morta anche perché gli ebrei, questi cosiddetti «altri», sono finalmente divenuti soggetti di sé stessi, forse in ritardo, ma in modo irreversibile.
Storicamente e concettualmente, il Popolo ebraico è sovrano e padrone di sé stesso e del proprio destino – e questo beninteso entro i limiti imposti dalla stessa tradizione ebraica a chi voglia far parte del collettivo. L’appartenenza all’ebraismo, per chi voglia conoscerlo e capirlo, comporta determinati oneri riguardanti sia la morale sia il comportamento dei suoi membri. L’appartenenza è una scelta che nessuno pretende di imporre a chi non vi sia interessato. Anche per queste loro scelte, gli ebrei sono stati a lungo perseguitati e massacrati come minoranza – in particolare da parte della civiltà cattolica – ma il loro diritto autonomo a autodefinirsi ideologicamente, culturalmente, e istituzionalmente non può più essere contestato.
Nella retorica di La Valle non manca invece la condanna – questa volta non solamente di matrice cristiana ma anche liberale, come ebbe ad affermare lo stesso Benedetto Croce (1946) – degli ebrei come «gruppo culturalmente coeso che nega le premesse greche, romane e cristiane della civiltà della quale essi dovrebbero entrare a far parte». Sulla pretesa natura multietnica e pluralista delle società europee contemporanee, sbandierata da La Valle, sarà poi meglio stendere un velo pietoso.

  1. Ebrei strumento

Una certa teologia cristiana, evocata da La Valle, propone di utilizzare gli ebrei come strumento, non come attore autonomo, onde perseguire il supremo obiettivo della salvazione. Certi Cristiani necessitano dell’ebreo come fase di passaggio viziata da difetto, o come antitesi, o meglio come capro espiatorio, dei mali che affliggono l’umanità e che evidentemente almeno in parte dipendono dalle malefatte o dalle incomprensioni degli stessi ebrei. Attraverso la riforma degli ebrei, che ne comporterà fatalmente la scomparsa sarà possibile raggiungere la salvezza. Fra l’altro questo assunto teologico risuona sinistramente simile al dettato marxiano (1843) secondo cui «l’emancipazione sociale dell’ebreo è l’emancipazione della società dal giudaismo». La salvezza del mondo dipende dalla riforma dei «perfidi» (nel senso di cocciuti) giudei. La responsabilità dei loro misfatti si rivolgerà contro loro tutti. Non è pensabile che il collettivo ebraico sia articolato in rivoli, sfumature e scelte individuali. Sono tutti responsabili di tutto il male dal primo all’ultimo.
Oggi questa della «salvezza che viene dai Giudei» sembra una buona scappatoia per esentare chi non è ebreo da qualunque possibile responsabilità propria. Il passaggio obbligato attraverso la riforma degli ebrei esenta in pratica i Cristiani dal dover dimostrare la loro verità e la loro teologia in via autonoma, non negandone un’altra, ma semplicemente dimostrando l’eccellenza delle proprie idee, e la prova degli effetti benèfici della loro realizzazione. Sarebbe sufficiente dimostrare il bene indubbiamente prodotto dal Cristianesimo in quanto tale, e non in quanto reazione al male causato dagli ebrei. Altrimenti, se gli ebrei non esistessero o non fossero mai esistiti, e se dunque non si potesse negarli o emanciparli, al Cristianesimo verrebbe a mancare lo strumento essenziale per poter dimostrare la propria verità. Se, come afferma La Valle, la «storia» degli ebrei come fatti realmente avvenuti è un «suicidio del pensiero», allora anche tutta la pretesa riforma diviene un costrutto senza fondamenta. La Valle, con una regressione di 1.900 anni dalla «Nostra Aetate» alle dottrine dicotomiche di Marcione, cade nel proprio trabocchetto, perché se non ci fosse il Dio cattivo degli Ebrei, il Dio buono dei Cristiani avrebbe difficoltà a dimostrare la superiorità della Sua proposta. E se Giuda Iscariota non lo avesse tradito, Gesù oggi sarebbe, sì, vivo, ma la Sua sfera di influenza forse non sarebbe la stessa di quella attuale.

  1. Ebrei genocidi

La Valle accusa Israele di avere compiuto un genocidio a Gaza, e in questa asserzione rappresenta solamente una delle tante voci contemporanee. Singolare genocidio, visto che secondo i dati pubblicati questa settimana dall’Ufficio Centrale di Statistica palestinese a Ramallah, nel corso dell’ultimo anno la popolazione palestinese è aumentata di 130.000 persone. Israele continua a garantire la fornitura di elettricità e di acqua potabile agli abitanti di Gaza. La Valle si inventa anche la «pratica blasfema di uccidere i nemici uno per uno e promettere di ucciderli tutti invocando il nome di Dio» che non si capisce da quali basi documentarie provenga. Queste sono, semmai, vere allucinazioni di un uomo ebbro di prediche inquisitorie e assuefatto all’invettiva.
A Gaza e in Libano, certo, Israele ha inflitto maggiori perdite ai terroristi islamici di quante i terroristi islamici ne abbiano inferte a Israele. Ma ciò è avvenuto in seguito a un massacro senza precedenti dal lontano 1945, e pur sempre entro i limiti delle leggi della guerra secondo le quali non è possibile una risposta puramente proporzionale all’offesa subita inizialmente. Fanno fede di questo tutte le guerre del passato, e massimamente la Seconda guerra mondiale. In Giappone gli Stati Uniti fecero un numero di vittime 100 volte superiori ai morti dei Pearl Harbor nelle Isole Hawaii. A Dresda, l’aviazione britannica fece in un sol giorno lo stesso numero di vittime che Israele ha causato a Gaza in oltre un anno (stando alle fonti di Hamas). E così la guerra finì, con grande profitto di La Valle che grazie alla sconfitta del nazifascismo tedesco-italiano e dell’imperialismo giapponese ha potuto godere di lunghi anni di prosperità economica e di libertà intellettuale e religiosa.
Se La Valle fosse sinceramente preoccupato per la difesa della vita umana, ovunque e sempre, gli sarebbe facile mostrarci un testo di inorridita e inequivocabile condanna della strage islamista, da lui stesso elaborato l’8 ottobre 2023, 24 ore dopo il massacro di Hamas nei kibbutz, nei moshav e al Festival Nova. E invece lui mai si sognò di preparare e pubblicare simili parole di condanna, segno che il 7 ottobre faceva parte di una dialettica politica in cui al terrorismo palestinese era concesso tutto e nulla era concesso a Israele. Al contrario, l’11 ottobre, quando le truppe di Israele ancora non erano entrate a Gaza, La Valle pubblicava un feroce intervento che concludeva con queste parole: «Non possono piangere quanti hanno concorso alla sciagura di oggi, facendo propria e promulgando senza remore l’ideologia della vittoria, incurante della giustizia e tributaria solo della forza». Belle parole di carità cristiana di fronte alle donne stuprate e squartate, agli infanti con le dita mozzate, alle famiglie bruciate vive nelle autovetture e nelle abitazioni irrorate di raffiche di mitragliatrice, e ai 250 deportati nei tunnel sotterranei di Gaza. La ritorsione di Israele in quel momento non era nemmeno iniziata. Reazione che avrebbe, sì, bombardato le città, ma solo dopo aver avvertito i civili di sgomberare le loro abitazioni, e mirando ai punti di lancio dei missili quotidiani, invariabilmente collocati sui tetti delle scuole, degli ospedali e delle abitazioni civili.
La componente genocida dell’ideologia fondamentalista islamica, invece, viene completamente ignorata. Voglia La Valle rileggersi il bel testo della costituzione di Hamas con l’articolo che richiama il buon mussulmano a «uccidere l’ebreo che si nasconde dietro ogni pietra e ogni albero». E solo allora si dedichi a scrivere sul genocidio e sulla compassione.

  1. Ebrei eunuchi

Precisamente in questo contesto accusatorio, La Valle associa automaticamente gli ebrei del mondo allo Stato d’Israele, non per un generoso afflato di Sionismo, ma per il male che Israele è accusato di compiere a Gaza, e dunque stabilendo un’implicita corresponsabilità della diaspora ebraica. La Valle riconosce ora che il 7 ottobre 2023 un’efferata azione dei palestinesi di Hamas fece scempio di un gran numero di ebrei di Israele e di molti non israeliani sui bordi della «striscia» di Gaza (i morti per i missili caduti in zona Tel Aviv sono esclusi da questo suo conteggio). E questo «potrebbe causare delle ricadute sull’intera popolazione di Gaza e sul popolo palestinese in quanto tale, nei territori colonizzati della Cisgiordania come nei Paesi vicini» (ma evidentemente non nei paesi più distanti). Invece «la spietata ritorsione delle forze armate israeliane a Gaza ricadrà su tutti gli ebrei», dovunque essi siano. Per La Valle, c’è stata un’esplosione di violenza, «efferata» da un lato, «spietata» dall’altro, senza specificare cause e contesti, o cronologie fra azione e reazione.
Non stiamo qui a soppesare quale sia peggiore fra efferato e spietato. Ma l’esistenza di un lungo e complesso conflitto politico e militare in Medio Oriente non viene nemmeno vagamente adombrata. La Valle spiega che da oltre 70 anni, ossia dal momento della sua indipendenza nel 1948, e non solamente dal momento dell’occupazione dei territori dopo la guerra nel 1967, Israele non ha risolto il problema del suo rapporto con i vicini. Non ci viene detto in quale misura i vicini abbiano risolto il loro rapporto con Israele. Un conflitto che, evidentemente, per sua natura è bilaterale, viene giudicato invece in un’ottica unilaterale, in cui come abbiamo già notato, solo gli ebrei commettono errori e ingiustizie, la controparte no. I possibili errori di Israele cadono su tutti gli ebrei, quelli degli altri non ricadono sui loro simili. Il vero problema è l’esistenza dello Stato di Israele, non l’inesistenza dello Stato di Palestina.
La soluzione politica di La Valle è semplice e a portata di mano: non più «i fuorvianti due stati per due popoli», ma uno stato unico per due popoli. Un po’ come la ricostituzione unitaria del Ruanda e del Burundi, o la ricucitura della storica indebita frattura fra Italia, Slovenia, Croazia e Albania. Basterebbe solo che gli ebrei rinunciassero a questa loro pervicace pretesa di uno stato per la propria nazione. Per La Valle gli ebrei non hanno diritto a un proprio Stato, come tutti gli altri popoli, perché evidentemente gli ebrei non sono un popolo. Sono una religione, e come abbiamo già visto una religione superata e da riformare per la salvezza del mondo.
L’ebreo secondo La Valle è un eunuco politico cui non spetta la sovranità. Tanto più che la sovranità acquisita (temporaneamente) sarebbe illegittima perché La Valle si inventa la menzogna che in Israele la legge riserva i diritti di natura politica «esclusivamente al popolo ebraico». Lo smentiscono tutti i cittadini arabi che hanno svolto e svolgono funzioni di Ministro, Giudice della Corte Suprema, Presidente della massima banca nazionale, Primario di ospedale o goleador della squadra nazionale di calcio. Anche se volentieri riconosciamo che l’approvazione nel 2018 della legge fondamentale sul Popolo è stata un grave errore politico, oltre a tutto inutile perché già dal 1948 esiste la Dichiarazione di Indipendenza di Israele che inequivocabilmente afferma la parità di tutti i cittadini senza distinzioni. Dunque fra le soluzioni per risolvere i mali del mondo, oltre alla riforma e alla sostituzione del Giudaismo, La Valle propone anche la soppressione dello Stato d’Israele.

  1. Ebrei buoni, ebrei cattivi

Dopo aver demonizzato la componente israeliana dell’ebraismo globale, La Valle si rivolge alla Diaspora ebraica e pretende che questa si stacchi da Israele. In questa sua speranza, egli trova a volte terreno fertile e disponibilità da parte di alcuni esponenti della comunità ebraica (definiti autorevoli) che a loro volta stanno vivendo un loro piccolo o grande dramma privato. Per queste persone si tratta di mantenere le proprie credenziali in un ambiente intellettuale e politico estremamente ostile. I più onesti dimostrano che il loro legame affettivo con il popolo ebraico e con Israele è ancora forte, ma esprimono giudizi che in gran parte svelano la propensione a entrare nel gregge, la pochezza delle fonti, la scarsità delle conoscenze di prima mano, l’ignoranza dell’ebraico o perfino dell’arabo oltre che di altre lingue. Ci sono anche i disonesti che strumentalizzano la propria origine ebraica o anche israeliana – magari ostentando nel vestire simboli di appartenenza che non hanno alcuna corrispondenza con la realtà – e che su queste fondamenta hanno costruito importanti carriere accademiche o artistiche.
La Valle vorrebbe spaccare quella solidarietà Israele/Diaspora che ancora oggi prevale nella grande maggioranza delle persone. È un altro progetto di riforma degli ebrei destinato a fallire perché – ben al di là delle critiche più che legittime nei confronti di questo o di quel governo israeliano – lo spirito di fratellanza e i legami familiari fra le diverse parti del collettivo ebraico sono ancora molto saldi. Il fatto che i rischi di chi sta in Israele si siano rivelati pari e anche maggiori rispetto a quelli storicamente ben conosciuti dalla diaspora ebraica non giova certo a indebolire, ma semmai a rafforzare il rapporto reciproco fra le due componenti del popolo ebraico in questa tragica congiuntura.

***

Il testo di La Valle e dei suoi seguaci è esemplare nella affermazione e richiesta esplicita che il popolo ebraico va liberato dalla propria identità religiosa e nazionale, e che l’umanità sarà salvata il giorno in cui questa liberazione sarà avvenuta.
Da parte nostra sembra necessario ribadire un chiarimento. I tre parametri del diritto alla dignità-parità con ogni altro membro della società, inclusa la scelta della propria identità; del diritto alla propria memoria, inclusa quella della propria Shoah; e del diritto alla propria sovranità, incluso quello a un libero rapporto di condivisione nei confronti dello Stato d’Israele, costituiscono il nucleo non negoziabile della rivendicazione ebraica all’essere sé stessi e non vassalli di altri. La negazione o la minimizzazione di uno o più di questi parametri fondamentali, costituisce oggi, ancora più che in passato, l’essenza di ciò che con un termine molto inappropriato si chiama antisemitismo e sarebbe molto più esatto e doveroso definire con il neologismo anti-ebreismo. Se questi appaiono oggi i termini analitici maggiormente appropriati per capire e combattere l’antisemitismo, la lettera di La Valle rappresenta uno splendido esemplare in cui c’è tutto: il passato che non passa, la negazione del prossimo, la violenta predicazione dottrinaria. E infine: la morte del dialogo interreligioso.§
Alla perversa deformazione della realtà e all’ossessivo pathos missionario emergente dalla lettera di Raniero La Valle rispondiamo: respinta al mittente.

Sergio Della Pergola