DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 7 novembre 2024

Che volto avrà l’America della seconda presidenza di Donald Trump? Quale influenza avrà sul mondo? Sono i due interrogativi su cui aprono i quotidiani italiani dopo la vittoria elettorale del candidato repubblicano. Il Corriere parla, in politica interna, di strette sui flussi migratori, dazi sulle importazioni, abbandono delle politiche green sull’energia. In politica estera, Trump, che entrerà in carica il 20 gennaio, vuole mettere fine il prima possibile a diversi conflitti: dall’Ucraina al Medio Oriente. «Per chiudere subito il fronte ucraino l’unico modo sarebbe stare alle condizioni di Putin. Su quello mediorientale la carta potrebbe essere il rilancio delle trattative con i sauditi», spiega il Corriere.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu, riportano i quotidiani, è stato il primo a congratularsi con Trump e il primo a chiamarlo al telefono dopo la vittoria. Per il Corriere «il ritorno di The Donald è una garanzia di sopravvivenza politica» per Netanyahu a cui potrebbe lasciare mano libera sull’Iran. Per il Giornale il presidente repubblicano ha mandato però «messaggi confusi e contraddittori a Israele, e non è chiaro se lo incoraggerà a chiudere i colpi con l’Iran o se vorrà applicare il suo mantra di “porre fine alle guerre”». Per il Sole 24 Ore ora Gerusalemme potrebbe decidere per un attacco contro i siti nucleari iraniani, con il benestare della nuova amministrazione.

Lo storico israeliano Benny Morris, intervistato da La Stampa, definisce Trump «un male per l’America e per la democrazia» e avverte Netanyahu: «Di lui non può veramente fidarsi». Morris è tra i sostenitori di un attacco israeliano contro l’Iran in grado da arrestarne la corsa nucleare. Molto critico verso Netanyahu, lo storico sottolinea come un successo contro il regime di Teheran gli permetterebbe di far dimenticare il fallimento del 7 ottobre.

Secondo Repubblica Trump «potrebbe chiedere a Israele di fermarsi a Gaza e in Libano, con la promessa di riprendere gli Accordi di Abramo allargandoli all’Arabia Saudita». Sempre Repubblica sottolinea come il principe Mohammed bin Salman sia stato tra i primi a chiamare Trump per congratularsi. «Magari», aggiunge il quotidiano, «per preparare il terreno all’allargamento degli Accordi di Abramo all’Arabia, prendendo quattro piccioni con una fava: pace a Gaza e in Libano, isolamento completo dell’Iran, e perché no anche ripresa del dialogo per la creazione di uno Stato palestinese, una volta che i sauditi decidessero di metterci soldi e volontà».

Domenico Quirico su La Stampa sostiene invece che l’arrivo di Trump rappresenti la fine della soluzione dei due stati per due popoli. Per Gad Lerner (Fatto Quotidiano) la nuova amministrazione Usa «non la finirà con le guerre», ma «tenterà di mandare in prima linea altri, pagati o costretti, con le buone e con le cattive».

«La politica estera di Trump la fanno i generi», titola il Foglio, ricordando l’influenza nella passata amministrazione repubblicana di Jared Kushner, ebreo newyorkese, marito della figlia di Trump Ivanka. Questa volta, spiega il quotidiano, in prima linea c’è un altro genero, il marito della quarta figlia di Trump, Tiffany: Michael Boulos, imprenditore libanese cristiano, il cui padre Massad anni fa si candidò in Libano per un seggio in parlamento, ma fu sconfitto. «Rimase però molto legato a Suleiman Frangieh, un politico cristiano come lui, ma alleato con il partito e gruppo militare Hezbollah, tanto da essere il candidato che il Partito di Dio sostiene per il ruolo di presidente», racconta il Foglio. Il legame tra Frangieh e i Boulos è rimasto saldo e potrebbe avere un ruolo nelle politiche mediorientali della nuova presidenza Usa.

Intanto, sparati dal Libano, i razzi di Hezbollah hanno colpito il «cuore di Israele», riporta il Giornale. Uno è caduto nel parcheggio dell’aeroporto Ben Gurion e allarmi sono scattati in tutto il nord e centro del paese. Testimonianza di come la guerra contro i terroristi di Hezbollah continui, ma senza più il ministro della Difesa Yoav Gallant, ricorda il Sole 24 Ore. Licenziato da Netanyahu, che ora «a mano libera» sulle manovre di guerra, «ma è ostaggio dei partiti religiosi» sul delicato tema dell’arruolamento degli studenti delle scuole religiose, sottolinea il quotidiano economico.

Sull’allontanamento di Gallant, La Stampa riporta delle manifestazioni in Israele per chiedere il suo reintegro. Dalla piazza «viene rinnovata anche la richiesta di raggiungere un accordo a ogni costo per la liberazione degli ostaggi da Gaza», scrive il quotidiano torinese.