DIALOGO/2 – Il messaggio dell’Ari alla Cei: Farsi carico dei fratelli

Pubblichiamo il messaggio che il presidente dell’Assemblea rabbinica italiana rav Alfonso Arbib ha inviato alla Conferenza episcopale italiana per la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei:

Dopo sette cicli di anni sabbatici, nel giorno di Kippùr del cinquantesimo anno, viene proclamato l’anno del Giubileo. Insieme a regole similari legate alla terra rispetto a quelle dell’anno sabbatico, se ne aggiungono altre caratterizzanti. L’anno del Giubileo deve essere consacrato e anche questa consacrazione ha una sua specificità, ed è caratterizzata da un’astensione. Oltre all’astensione dalla coltivazione dei terreni, vi è quella della privazione da parte del padrone di ogni diritto sugli schiavi che vengono liberati e possono tornare alle loro famiglie. Cessa anche il diritto di chi ha comprato un terreno. In Terra d’Israele il terreno non è di proprietà di alcun essere umano, perché quella terra appartiene al Signore e chi ci vive è per definizione straniero e residente in essa. La terra viene data in affidamento a una tribù, a una famiglia, e gli affidatari non possono venderla in modo definitivo, perché con l’anno del Giubileo essa ritorna alla famiglia affidataria originale. Al massimo può essere affittata per un periodo di tempo limitato che non può in ogni caso eccedere l’anno del Giubileo. La Torà avvisa esplicitamente della possibile frode su questo punto. Quando si “vende” un terreno ad un’altra persona, non ne si vende la proprietà perpetua, ma il valore va calcolato in base al “numero di raccolti” che si possono realizzare fino all’anno del Giubileo. “E temerai il Signore, poiché Io sono il Signore Vostro Dio”. Chi si approfitta del prossimo proponendo una vendita definitiva commette una appropriazione indebita di un terreno la cui proprietà appartiene al Signore.
La Torà risponde esplicitamente anche alla ovvia domanda: “Se non seminiamo, cosa mangiamo?” La terra promessa ai patriarchi è un luogo su cui il Signore tiene i suoi occhi continuamente. Non è come l’Egitto, da cui gli ebrei provenivano in cui l’acqua arriva continuamente in grande quantità con il Nilo. L’acqua viene dal cielo, ed arriva anche in modo congruente al comportamento di chi ci vive. In occasione del Giubileo ci sono ben due anni senza semina. Ma la benedizione divina che arriverà nel sesto anno del ciclo sabbatico precedente al Giubileo, sarà sufficiente per alimentare la popolazione negli anni successivi. C’è qui una rassicurazione sul fatto che in quella terra, qualora venga istituita una società giusta, in cui ci sia correttezza tra le persone e, come vedremo successivamente, soccorso per quelle in difficoltà, anche un comando divino, che rischia di mettere in difficoltà gli approvvigionamenti alimentari per un lungo periodo, non avrà gli effetti temuti perché la provvidenza divina non farà mancare il sostentamento: “Decreterò la Mia benedizione per voi nel sesto anno, ed essa produrrà per tre anni”.
Nella seconda parte del capitolo 25 del Levitico troviamo le conseguenze delle diseguaglianze e delle sperequazioni. L’impoverimento di un fratello non avviene mai all’improvviso. C’è una china che percorre quattro fasi fino a diventare asservito in modo totale a uno straniero, in sostanza il fallimento della società. Le quattro fasi identificate rappresentano 4 diversi e progressivi livelli di impoverimento e di perdita graduale di libertà. Un popolo creato per essere libero ha il dovere di tutelare la libertà di ogni suo membro. Quando una società non riesce a mantenere questo impegno fondamentale, mette a repentaglio l’intero tessuto sociale di cui è formata. Ma questo fallimento non avviene mai in modo repentino. Ha una sua gradualità. La perdita di autonomia di un individuo è frutto di una serie di piccole cadute, talvolta fortuite, talvolta meno, di fronte ciascuna delle quali c’è la possibilità di riprendersi. Ma non sempre chi cade riesce a rialzarsi da solo. Il soccorso di un fratello è spesso necessario, e senza quello si può andare incontro a ulteriori cadute.
Il primo passaggio è un impoverimento finanziario. La caduta si concretizza quando una persona si trova obbligata ad alienare proprietà. Ma la terra, come detto, in Terra d’Israele non è di proprietà di chi la possiede pro tempore. La terra appartiene a Dio. Il titolare è un affidatario. Può quindi venderne l’usufrutto, fino a quando non sarà in grado di riscattarla, o, al massimo fino all’anno del Giubileo, quando tutti tornano al proprio appezzamento. Si tratta qui di situazioni reversibili, attraverso uno sforzo del venditore. Ma già qui si fa avanti la figura del “redentore” (il goèl), ossia un parente prossimo che può riscattare il terreno venduto. Questi potrà intervenire nel caso in cui il venditore non avrà trovato le risorse per riscattare il terreno. Il libro di Ruth è in realtà un’apologia dell’istituto della redenzione. Bòaz, diventa il progenitore del re David, riscattando i terreni di Na’omì e applicando in modo estensivo la legge del levirato, prendendo così in moglie la nuora di quest’ultima. Il tutto viene considerato un grande atto di amore nei confronti della famiglia del malcapitato cugino, che così viene rimessa in carreggiata e diventerà una famiglia centrale nella storia del popolo ebraico.
Ma la caduta può essere tale che lo sventurato vacilli al punto di non arrivare più a sostenersi da solo. Lì diventa fondamentale il mutuo soccorso. Si deve sostenere questa persona, e prestargli denaro senza interesse anche col rischio di non rivederlo indietro. Questo vale anche per lo straniero, quello che vive nella società accettandone le regole fondamentali. “La vita di tuo fratello sarà presso di te”. Rispetto al caso precedente qui l’obbligo di sostenere chi è in difficoltà non riguarda solo i famigliari all’interno di un normale sistema di organizzazione e sostegno di un microgruppo. Il sostegno è un obbligo dell’intera società, anche nei confronti dello straniero del residente temporaneo.
Il prestito è una forma di sostegno che permette a chi lo riceve di continuare a sentirsi indipendente, per quanto sostenuto. Ma se la caduta arriva al punto di non ritorno, esiste la forma della servitù. Si tratta della perdita di alcuni elementi di libertà in cambio del sostegno delle principali necessità vitali della persona da parte di un padrone. La servitù ha una serie di paletti che impediscono al padrone di considerare il servo come uno schiavo, quanto piuttosto come un suo dipendente. Il tutto perché l’uscita dall’Egitto rende per sempre i figli di Israele servi di un unico Padrone che è Dio, e mai servi totali di altri uomini.
Il passo successivo è che il fratello impoveritosi finisca nelle mani di uno straniero avventizio. Qui spetta alla società impedire che quest’ultimo si comporti con durezza nei confronti del malcapitato. In tutti questi casi però c’è un momento di ritorno alla libertà e questo è l’anno del Giubileo. Già avevamo visto che in caso di vendita di un terreno, questa scadenza lo faceva tornare in possesso dei propri beni. Ma in casi di cadute più profonde che portano alla perdita parziale della libertà, il Giubileo aveva un effetto vero e proprio di redenzione e di ritorno ai pieni diritti che si avevano prima di dover ricorrere all’aiuto della società.
L’anno del Giubileo, in sostanza, rappresenta un vero e proprio “reset” sociale. Le dinamiche di sperequazione socio economica sono normali in qualsiasi società, e quindi vengono accettate anche in quella ebraica, salvo il fatto che ad un certo punto queste diseguaglianze devono essere appianate e tutti devono ritornare a un livello di parità di diritti e di opportunità.
Il Signore ci dà un motivo che è alla base di tutto questo. “Poiché a Me sono asserviti i figli di Israele. Essi sono i Miei servi, che ho fatto uscire dalla terra d’Egitto”. Già nei 10 comandamenti, il Signore si presenta non come Creatore del mondo, quanto più come Colui che ha fatto uscire i figli d’Israele dalla terra d’Egitto. Essere servi del Signore non ha solo un’accezione religiosa, ma è anche una definizione di status sociale. I saggi del Talmud esplicitano il concetto: “Sono i Miei servi”, significa che non sono servi di altri servi. Essere servi del Signore rappresenta il massimo grado di libertà disponibile in questo mondo. Questa definizione del Talmud non è solo una dichiarazione di principio, ma comporta delle responsabilità e ha delle conseguenze pratiche in vari ambiti. Solo per fare un esempio, sulla base di questo principio un lavoratore dipendente che ha ricevuto un incarico, può in qualsiasi momento recedere da esso, a condizione che non crei un danno immediato e irreparabile al datore di lavoro, facoltà che invece ha molte più limitazioni per un appaltatore.
Il libro del Levitico include al suo interno tutte quelle regole che definiscono il popolo di Israele nelle sue particolarità e nella sua kedushà. Alcune regole sono prettamente religiose, altre riguardano l’etica dei rapporti interpersonali. In realtà le cose sono strettamente connesse. Si tratta di una serie di norme che vanno al di là quelle che dovrebbero regolare una qualsiasi società, regole che in generale troviamo maggiormente nel libero dell’Esodo. Sono comportamenti che diventano fondamentali per un “reame di Sacerdoti”. Il capitolo 25 dell’Esodo ci fa vedere che anche l’organizzazione sociale e le politiche di welfare, non fanno eccezione e sono un elemento fondamentale per la sostenibilità di una società basata sulle regole della Torà. L’anno sabbatico il Giubileo assumono un ruolo primario per questo scopo.

Rav Alfonso Arbib, Presidente Assemblea Rabbinica