ARTE – L’alchimia dell’alef bet a Torino
«Il rapporto esistente tra l’alfabeto ebraico e le parole della lingua ebraica è uguale a quello che lega gli elementi chimici alle formule. Come in chimica ogni formula indica gli elementi che compongono la materia, così le parole ebraiche sono composte da lettere che ne descrivono l’essenza». La mostra L’alchimia delle lettere, curata da Ermanno Tedeschi e da poco aperta a Torino allo Spazio Acribia, espone opere di Federica Noà Caviglia e raccoglie due periodi della sua attività artistica: uno meno recente, relativo ai suoi esordi, più astratto, e l’altro più contemporaneo, figurativo, dove compare una maggiore attenzione al dettaglio, e l’elemento umano. Sono opere anche molto differenti tra loro: si va da Mar Rosso, il cui passaggio è stato anche un momento simbolico di quando ci si trova nell’incertezza del futuro, a Tefillà, ossia preghiera, e si legge nel catalogo: «La mistica ebraica insegna che il dito dell’artista tocca sempre il trono dell’Assoluto. La preghiera è l’esteriorizzazione del nostro desiderio di crescita e di vicinanza all’Assoluto. La preghiera si usa soprattutto per ringraziare di ciò che abbiamo e per chiedere la purificazione. Le lettere dell’alfabeto ebraico posseggono un profondo significato simbolico e potremmo definirle portatrici di saggezza e riflessione. Esse sono contenute nelle Kabbalah, che è un’antica saggezza ebraica che spiega le leggi eterne secondo le quali l’energia spirituale si muove nel Cosmo. Esse, oltre ad avere il significato semplice che si usa per comporre la parola, hanno una valenza e significato singolo e una corrispondenza numerica che le distingue da tutti gli altri alfabeti». Scrive il curatore: «L’arte di Noà, attraverso l’uso delle lettere ebraiche e la ghematria, non solo crea opere visivamente affascinanti, ma le arricchisce di un profondo significato simbolico. Questo dualismo tra forma e sostanza permette ai suoi dipinti di trasmettere messaggi universali e spirituali, riflettendo la sua continua ricerca di una connessione tra l’arte, la cultura ebraica e il senso più profondo dell’esistenza». In Le 3 shin (nell’immagine in alto), che stanno per shalom, pace, shalva, serenità e simcha, gioia, l’intento è una rappresentazione del senso di completezza e di accettazione del proprio destino, e di riconciliazione con i propri simili. La lettera shin (ש) ha valore numerico 300, e nella sua forma c’è chi vede una specie di fiamma che si alza, a rappresentare il fuoco dei sacrifici e il fuoco costante che era nel Tempio. L’opera più recente si intitola Semplicemente (nella seconda immagine), ed è dedicata alla donna, e alla sua possibilità di essere luce: «Ella è più incline al perdono e alla riconciliazione per sua natura. Essa racchiude forza e dolcezza, amore e determinazione».