LA POLEMICA – Emanuele Calò: Occidente, la reazione che manca

Domenica scorsa, verso le 16.00, un professore ha detto che Israele ha ridotto Gaza come il Ghetto di Varsavia. Il paragone non regge e, se ci fosse stato un contraddittore, glielo avrebbe fatto rilevare. Poi cita Lancet, ma non dice che tale citazione è stata vivamente contestata, sia dal Foglio che dall’Osservatorio Enzo Sereni. Chi è contro Israele pensa di avere ragione ma, per sicurezza, evita di invitare chi è di diversa opinione. Ho sempre temuto che la democrazia non fosse mai entrata del tutto in Italia. D’altronde, se Israele non ha diritto alla difesa, è giusto che non abbia difensori.
Su Rai news leggo: «Al Museo del Cinema tolta la bandiera italiana e issata quella palestinese. Tensione davanti alla Rai. Bruciato un fantoccio con la foto del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. 15 agenti feriti».
La mancanza di contraddittorio significa che, secondo le mie vedute, non necessariamente stolte, l’equivoco alberga sia ai piani alti (Viale Mazzini) che in quelli non altissimi: la folla che è salita sulle strutture della Mole Antonelliana (una ex Sinagoga in fieri).
Possiamo legittimamente porci (in senso buono) il problema del rapporto con la democrazia e con la Patria, poiché la seconda riguarda il nostro cuore e la prima il modo di convivere.
La conduttrice del citato programma fa quello che fanno tutti: dice che ci sono anche degli ebrei che sono contrari al comportamento di Israele. Non direbbe mai che ci sono americani che ce l’hanno con Trump o cubani che non amano il regime, perché sarebbe una solenne ovvietà, ma con gli ebrei si può usare l’argomento etnico/razziale. Le idee dipendono, per il razzista, dall’etnia, non dal pensiero, e ciò si estrinseca nel solito «ma ci sono ebrei che la pensano diversamente». Ventitré anni fa un manifesto della sinistra recitava: «solidarietà col popolo palestinese e con le forze pacifiste israeliane». Ne feci il motivo di un articolo su un quotidiano, perché chi aveva ideato le parole d’ordine non riteneva di solidarizzare col popolo israeliano, ma con gli ebrei buoni (ça va sans dire, una minoranza, perché in maggioranza siamo dei mariuoli). Puro razzismo, se ne dovrebbe accorgere chi lo dice ma, se lavorare stanca, come diceva Pavese, pensare stanca ancora di più.
Nel frattempo, sfoglio i testi scolastici e inizio a capire perché sia flebile il rapporto con la Patria e quello con la democrazia: l’ideologia prende troppo spesso il sopravvento sull’amore per la verità. Il terzomondismo e il pauperismo, abbinati al dogma delle «colpe dell’Occidente» a questo hanno portato: ad ammainare la bandiera italiana, sostituendola con una bandiera che non si sa se rappresenti l’Autorità Nazionale Palestinese oppure (visto che lì si svolge la guerra) un’entità terroristica chiamata Hamas. Dopo tanti anni di democrazia e di libertà, quel cambio abusivo di bandiera dovrebbe dar luogo ad una reazione morale non inferiore a quella tristissima provocazione. Tuttavia, come faceva dire il Manzoni, chi non ha il coraggio, non se lo può dare.

Emanuele Calò, giurista