DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 20 novembre 2024
È stata Hezbollah a colpire ieri Unifil, ha chiarito il ministro degli Esteri Antonio Tajani definendo «inammissibile» l’attacco al contingente italiano. Il Corriere della Sera, nel darne conto, scrive che Unifil è al livello di allerta 3 ormai da settimane per via degli scontri tra l’esercito israeliano e i terroristi sciiti e ciò significa, per i soldati impegnati nella missione, «tutti chiusi nei bunker giorno e notte perché i combattimenti sono troppo vicini e i colpi possono arrivare da ogni lato». Commentando l’accaduto, Tajani ha sostenuto che le forze italiane abbiano agito nel tempo per garantire «anche la sicurezza di Hezbollah». Si è aperto un caso, con reazioni anche a livello politico. Compito di Unifil, ricorda il Corriere, è «monitorare il rispetto da parte di Hezbollah e di Israele delle risoluzioni Onu che hanno portato al ritiro israeliano». In generale il Foglio riscontra che «l’indignazione che segue le notizie di spari provenienti dai soldati israeliani non si sente mai con altrettanta forza e risolutezza quando è Hezbollah ad attaccare», «eppure è il gruppo armatissimo e preparatissimo del Libano ad aver iniziato la guerra». È di queste ore anche la notizia che l’Argentina ha ritirato i suoi soldati da Unifil. Secondo Libero, ciò dimostrerebbe «che si può uscire da una situazione pericolosa e fallimentare».
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato l’erogazione cinque milioni di dollari e di un salvacondotto per ogni ostaggio liberato. Il premier di Gerusalemme ha parlato «dal cuore della Striscia di Gaza, da quel Corridoio Netzarim che è al centro della regione palestinese e dei piani dell’Idf», riporta il Messaggero. La vita per gli ebrei in Europa si fa intanto sempre più difficile, denuncia Il Foglio, parlando di città “Zionist frei”. Il primo esempio che viene fatto è Leicester, «la decima più grande del Regno Unito, la prima a mettere al bando tutti i prodotti “made in Israel”». Mentre nella città irlandese di Kinvara, riferisce ancora il Foglio, «i negozi, i ristoranti e persino le farmacie non vendono più prodotti israeliani, nemmeno gli antibiotici della Teva, leader israeliana dell’industria farmaceutica».
Ancora voci ebraiche sulle parole del papa sul “genocidio” a Gaza. «Le critiche del Vaticano sulla condotta di Israele sono una questione molto complessa: di orientamento politico e di indirizzo morale», sottolinea il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni in una intervista con il Corriere della Sera. Nell’indirizzo morale, spiega il rav, «additare una intera collettività come responsabile di genocidio è molto rischioso» visto che «l’accusa è carica di simboli» collegati alla Shoah e all’inversione dei ruoli in atto con la vittima che «diventa carnefice». Secondo l’ex presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello, ascoltata dalla Stampa, l’intervento del papa legittimerebbe «una propaganda anti-israeliana basata su una campagna d’odio che ha effetti reali sull’aumento dell’antisemitismo». Parlando sempre con La Stampa, il ministro Tajani afferma: «Io non credo che ci sia un genocidio a Gaza, non ce ne sono i presupposti giuridici. Questo non toglie che siamo molto critici con le conseguenze umanitarie delle azioni del governo israeliano, ci sono troppe vittime civili, con la corresponsabilità di Hamas».
Vladimir Putin ha minacciato l’uso della bomba atomica anche in risposta ad attacchi convenzionali. Maurizio Molinari su Repubblica cita nel merito l’opinione dell’ex dissidente Natan Sharansky, per lunghi anni detenuto in un carcere sovietico e poi emigrato nel 1986 in Israele dove è stato il capo dell’Agenzia ebraica. «Come tutti i leader russi, Putin usa la paura come uno strumento di potere, facendo leva sulla violenza contro i dissidenti per farli tacere, sulle armi contro l’Ucraina per sottometterla e sul nucleare contro l’Occidente per dividerlo e farlo indietreggiare», sostiene Sharansky. A suo dire «l’unica arma efficace contro l’uso della paura da parte del Cremlino è non avere paura».
Si è riunito ieri a Milano il comitato incaricato di deliberare l’assegnazione degli Ambrogini d’Oro, la massima onorificenza cittadina. Tra i premiati figura l’ex presidente dell’Anpi Roberto Cenati, dimessosi dall’associazione dopo le accuse di genocidio contro Israele, mentre non è stata accolta la candidatura del presidente della Comunità ebraica milanese Walker Meghnagi. Sul suo nome c’è stato «lo scontro più lungo e acceso» (Il Giornale).