LA POLEMICA – Emanuele Calò: Bozze per un dizionario fraseologico

Leggo una critica al governo israeliano dove gli si rimprovera di aver fatto votare che non ci sarà mai uno Stato palestinese. Sennonché, la Risoluzione andrebbe citata per intero. Il testo è il seguente: «La Knesset di Israele si oppone fermamente alla creazione di uno Stato palestinese a ovest della Giordania. La creazione di uno Stato palestinese nel cuore della Terra d’Israele rappresenterà un pericolo esistenziale per lo Stato di Israele e i suoi cittadini, perpetuerà il conflitto israelo-palestinese e destabilizzerà la regione. Sarà solo questione di breve tempo prima che Hamas prenda il controllo dello Stato palestinese e lo trasformi in una base terroristica islamica radicale, lavorando in coordinamento con l’asse guidato dall’Iran per eliminare lo Stato di Israele». E ancora: «Promuovere l’idea di uno Stato palestinese, in questo momento, sarà una ricompensa per il terrorismo e non farà altro che incoraggiare Hamas e i suoi sostenitori a vedere questo come una vittoria, grazie al massacro del 7 ottobre 2023, e un preludio alla presa del potere dell’Islam jihadista in Medio Oriente». Ne consegue che, pur non essendo d’accordo, vedo che: a) non si tratta di un’opposizione di principio, tant’è che è scritto «in questo momento» b) l’ANP non ha indetto elezioni da quasi vent’anni perché teme di perderle a vantaggio di Hamas c) la Knesset vorrebbe, come fanno i trattati UE, che vi sia il primato della democrazia, visto che chi auspica la creazione di uno Stato palestinese non dedica mezza parola alla necessità che sia una democrazia.
Leggo altresì questa frase: per colpire uno di Hamas non si possono uccidere cento civili palestinesi. Sennonché, facendo un triste e macabro conto, le vittime civili dovrebbero aggirarsi sui due milioni e mezzo. Come si spiega?
Su un quotidiano: il sionismo prima del ’48 non era esclusivamente un movimento razzista. Sennonché, il 10 novembre 1975, l’Assemblea Generale dell’Onu adotta la risoluzione 3379 in cui si sancisce «il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione razziale». Il 16 dicembre 1991, l’Assemblea Generale dell’Onu cancella la risoluzione 3379. Il quotidiano torna al 1975.
In televisione, poi, si è detto che una gran parte della diaspora delle comunità ebraiche non vuole convivere coi palestinesi. Per quanto ci si impegni, la frase non ha alcun senso, ma in ogni caso non contribuisce a fornire una bella immagine degli ebrei.
Apprendo, perfino, che il movimento sionista, nella ricerca di una soluzione territoriale alternativa a Israele, avrebbe pensato non soltanto all’Uganda, come sappiamo, ma finanche all’Uruguay. Peccato che, all’epoca, l’Uruguay avesse meno di settecentomila abitanti, con un territorio insufficiente, per cui nessun sionista si era avventurato ad avanzare una tale proposta. Leggo anche che la Gran Bretagna avrebbe promesso l’indipendenza agli arabi e nello stesso tempo un foyer ai sionisti. Sennonché la proposta McMahon non andava molto oltre uno scambio epistolare (ma se ne può discutere) mentre il c.d. foyer era stato consacrato dalla Società delle Nazioni. È la stessa cosa? Direi proprio di no.
Leggo anche che l’antisemitismo sarebbe favorito da certi atteggiamenti della Diaspora. Nessuno scriverebbe che l’omofobia è causata dagli atteggiamenti dei gay o che il razzismo contro chi ha la pelle scura sia dovuto al comportamento delle vittime. Se sei antisemita non hai scuse, se sei omofobo non hai scuse, se sei razzista non hai scuse.
Incolpare la vittima non è un atto di scienza ma di volontà inconsapevole, per cui sarebbe errato attribuire alle varie fonti una qualsivoglia responsabilità. È un atto che, non solo rassicura, ma contribuisce a sentirsi parte del cosiddetto mainstream ed evita l’isolamento, assicurando al contempo una visibilità e una popolarità senza pari. Non vi è quindi malafede in tutto questo ma, al pari di tutti i casi in cui le nostre conclusioni fanno rima col nostro comodo, l’inconscio si vede costretto a fare gli straordinari.

Emanuele Calò