USA – Cerchi lavoro? Meglio un curriculum non ebraico

Farsi riconoscere come ebrei o come israeliani porta ad essere discriminati sul mercato del lavoro, negli Stati Uniti? È la domanda cui prova a rispondere il sondaggio condotto da Bryan Tomlin, professore di Economia e presidente del Dipartimento di Economia della Martin V. Smith School of Business and Economics della California State University Channel Islands, grazie a una sponsorizzazione della Anti-Defamation League (ADL). Tremila curriculum dal contenuto identico, tranne per il nome del candidato, sono stati inviati in risposta ad altrettante offerte di lavoro, da persone che poteva sembrare avessero un nome ebraico, un nome israeliano, o un nome più genericamente europeo. I risultati hanno confermato la presenza di un pregiudizio: i candidati dal nome ebraico hanno dovuto inviare il 24,2% di richieste in più per ricevere lo stesso numero di risposte; quelli dal nome israeliano ne hanno dovuto il 39% in più. Nulla di sorprendente: secondo un recente rapporto dell’ADL nei primi tre mesi del 2024 negli USA si sono verificati 3.264 episodi di antisemitismo, tra aggressioni fisiche (56), vandalismo (554), molestie verbali o scritte (1.347) e ben 1.307 raduni nei campus in cui è stata usata una retorica antisemita. Ma a differenza di quando vengono commessi crimini violenti, in questi casi è estremamente difficile dimostrare di aver subito un trattamento sfavorevole per motivi religiosi o di appartenenza, sia perché le interazioni su cui basare le proprie conclusioni sono limitate sia perché non potendo conoscere le competenze o le qualifiche degli altri candidati il singolo non può dimostrare che sta perdendo un’opportunità di lavoro a causa della sua religione. Ma l’esperimento ha dato risultati conformi al modello generale di comportamento antisemita osservato nei report dell’ADL.

Metodologia
La metodologia usata è analoga a quella utilizzata in altre ricerche sul mercato del lavoro, con l’invio di un numero cospicuo di richieste di informazioni, via e-mail, che sono state mandate in tutti gli Stati Uniti tra maggio e ottobre 2024. Tutte le richieste sono state inviate da candidati il cui nome è stato scelto per essere “femminile”: Kristen Miller (Europa occidentale – gruppo di controllo), Rebecca Cohen (“gruppo ebraico”) e Lia Avraham (“gruppo israeliano”). A ciascun annuncio di lavoro è stata inviata una singola mail da parte di una singola candidata, assegnata in modo casuale, e gli annunci sono stati scelti sul portale craigslist perché è uno dei pochi in cui il processo di candidatura online o di screening dei curriculum non è guidato dall’intelligenza artificiale. Gli annunci sono stati tutti selezionati nel settore dell’assistenza amministrativa che spesso comporta un’interazione diretta con i clienti e può essere perciò sensibile sia ai pregiudizi del datore di lavoro sia a quelli percepiti dai clienti. I candidati avevano curriculum identici, solo “adattati” alla località dove si offriva un posto di lavoro, e con una seconda lingua coerente con il gruppo di appartenenza. Nonostante sia impossibile verificare in che misura i segnali di “trattamento” dei nomi siano in effetti percepiti dai datori di lavoro, alcuni dati qualitativi contenuti nelle risposte suggeriscono che i segnali fossero chiari: per esempio diverse risposte al “gruppo israeliano” erano scritte in ebraico. Non è mai successo con il gruppo di controllo, che non ha mai ricevuto risposte nella seconda lingua (segnalata nel cv, in questo caso era francese o tedesco), né ha ricevuto risposte che parlassero del patrimonio personale.

Risultati
L’antisemitismo non è presente solo in uno spazio verbale o fisico facilmente identificabile ma esiste anche nel mercato del lavoro. Non è possibile stabilire quanto i risultati di questo studio siano applicabili ad altri ambiti lavorativi, ma di sicuro la ricerca ha dimostrato che un’ulteriore indagine sul potenziale trattamento avverso sarebbe auspicabile. O necessaria.