LA NOTA – David Sorani: Israele grande assente sui media
La titolazione dei giornali ha regole non scritte, ma ben note, che mirano a sollecitare l’attenzione del potenziale lettore convogliandola a suon di termini altisonanti sui fatti più eclatanti e appariscenti, capaci di evocare sensazioni, sentimenti, posizioni forti e con ciò di “vendere” meglio la notizia stessa e l’intero giornale. Fin qui rientriamo nella pratica corrente, anche se non proprio corretta, del giornalismo. Falsare i dati, alterare i fatti, qualificare con definizioni aberranti e improprie azioni militari anche dure, addirittura indurre a formulare un giudizio di univoca condanna prima ancora della lettura dell’articolo è però pratica gravemente scorretta, direi malcostume giornalistico. Eppure ciò accade, soprattutto per la stampa italiana, con una certa frequenza e con danni di immagine non irrilevanti. Ne abbiamo esempio quotidiano nei travagliati mesi del conflitto mediorientale che stiamo attraversando.
Anche sui quotidiani più importanti (Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa) o su diffusi notiziari radiofonici Rai (cito il Gr3), per il resto orientati verso posizioni equilibrate e non ideologizzate, i titoli e le sintesi di prima pagina riguardanti il Medio Oriente sono spesso un bollettino crescente dei morti causati dai bombardamenti israeliani su Gaza, definiti senza esitazione «strage», «massacro», mentre del tutto ignorate sono le motivazioni degli attacchi israeliani, volti a snidare i terroristi armati nascosti tra la popolazione civile o addirittura negli ospedali; come taciuti o non considerati sono gli appelli di Tsahal alla popolazione perché abbandoni i siti destinati al bombardamento. Accade di frequente che le notizie di azioni israeliane definite stragi rimangano più giorni esposte al pubblico ludibrio e siano facilmente scambiate per fatti nuovi, mentre solo in secondo piano sono riportati i continui lanci di missili su Israele (spesso Tel Aviv e il centro, talvolta Gerusalemme) da parte degli Houthi e ultimamente di nuovo da parte di Hamas. Raramente poi i media italiani si soffermano sulla terribile condizione degli ostaggi del 7 ottobre (quelli che sono riusciti a sopravvivere), sottoposti a continue violenze e con sempre più scarse possibilità di venire liberati: quando parlano di loro – di solito in occasione della pubblicazione di video/ricatto da parte di Hamas – non lo fanno per descrivere il maltrattamento che subiscono, ma esclusivamente per contribuire alla pressione mediatica sul governo Netanyahu. È allo stesso fine che giornali e telegiornali danno spazio alle manifestazioni indette dalle famiglie degli ostaggi a Tel Aviv e altrove: non per comprendere situazioni e sentimenti collettivi, ma per accentuare l’immagine negativa del leader e dell’esecutivo israeliani, protagonisti certo molto discutibili e talvolta condannabili, ma non allo stesso livello di un’organizzazione terroristica ormai assurta per varie testate al rango di Stato, di legittimo contendente. In sostanza, non è azzardato sostenere che spesso i mass media italiani fanno da amplificatori (se non proprio da portavoce) dell’abile campagna propagandistica di Hamas, come dimostra il fatto che riportano senza smentite le cifre da essa fornite.
In tutto questo marasma di mezze notizie e di analisi mancate, il grande assente nell’informazione giornalistica italiana è, paradossalmente, proprio Israele. O meglio, Israele nella sua autentica situazione attuale, alle prese con una lunga guerra di soffocamento nei suoi confronti, con una perdurante difficoltà sociale ed economica dopo il 7 ottobre, con una crisi anche esistenziale in seguito a una ferita profonda quale nessuna altra subita in precedenza. Possibile che a quasi nessuno dei quotidiani o dei periodici italiani interessi capire cosa è e come sta davvero Israele un anno dopo il 7 ottobre 2023? Possibile che l’immagine del Paese debba ridursi ad essere, per la maggior parte dei nostri giornali, quella manichea e del tutto negativa dell’impietoso sterminatore di palestinesi, con una palese perdita di spessore informativo e analitico? Eppure, una rassegna stampa diffusa offre poco altro.
Povertà culturale o mirata volontà di isolamento?
David Sorani