L’OPINIONE – Alberto Heimler: Gaza oggi è la Germania di ieri
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha iniziato il suo discorso di fine anno con un ardito ma ormai purtroppo comune paragone: la neonata palestinese morta per la temperatura troppo rigida sotto la tenda della famiglia sfollata e gli ostaggi israeliani rapiti da Hamas il 7 Ottobre 2023. Non c’è dubbio che si tratta di esempi terribili, la morte di una bimba e gli ostaggi tenuti prigionieri senza colpa da più di un anno, e che toccano le nostre coscienze, ma non devono essere messi sullo stesso piano e in un’unica frase. Così facendo si dà un messaggio che sembra di pace, ma in realtà perpetua la violenza, il sopruso e le aggressioni.
Israele non ha iniziato questa guerra, l’ha subita, e il fatto che essa continui ancora dopo 15 mesi e che gli sfollati palestinesi passino l’inverno sotto le tende dipende dalla incapacità di Hamas di accettare la sconfitta, anche in parte come conseguenza del sostegno che continua a ricevere dall’opinione pubblica occidentale. Se Hamas restituisse gli ostaggi e si arrendesse, tutto cesserebbe e potrebbe iniziare un percorso virtuoso di ricostruzione di Gaza e un passaggio del potere a forze più moderate. Se solo questo avvenisse, ossia che a Gaza si instaurasse un governo moderato, l’intero Medio Oriente cambierebbe, come il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ama ripetere. La cosa importante da ricordare è che se effettivamente emergesse una leadership palestinese non estremista, anche il mantenimento del controllo israeliano sulla sponda occidentale del Giordano (West Bank) potrebbe essere messo in discussione. Non è solo un sogno: all’indomani della sconfitta del fascismo e del nazismo il potere politico è stato affidato a forze moderate che ancora governano questi nostri paesi, 80 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
È vero che a Gaza non sembra esistere un’opposizione moderata a Hamas e che pertanto questo trasferimento di potere sembra improbabile, ma non sappiamo se ciò dipenda dal regime dittatoriale di Hamas e dalla paura della popolazione a esprimersi o se veramente il consenso verso Hamas rimanga ampio e diffuso. Non dovremmo preoccuparcene troppo. In fondo quella di Gaza è una situazione simile a quella tedesca in cui la resistenza al nazismo era veramente sparuta e, nonostante ciò, i leader politici del Dopoguerra hanno saputo abbracciare i valori della democrazia e della libertà senza tentennamenti o ritrosie. L’Occidente dovrebbe porsi senza esitazioni a fianco di Israele nella lotta al terrorismo, non promuovere l’equidistanza tra le parti e chiedere la tregua.
Dobbiamo renderci conto che l’obiettivo di distruggere Israele perseguito dagli estremisti palestinesi non viene scalfito dal cessate il fuoco. Infatti, se Tsahal si ritirasse da Gaza, Hamas si rifiuterebbe di restituire gli ostaggi, si riarmerebbe e le ostilità riprenderebbero con il lancio giornaliero di missili. Dal 2005 troppi sono stati i cessate il fuoco con Gaza (almeno cinque), ma il fuoco non è mai cessato veramente. Gli abitanti di Sderot, una città israeliana al confine con l’enclave palestinese, avevano 40 secondi di tempo dall’allarme per arrivare nei rifugi e questo ben prima del 7 Ottobre e per almeno 15 anni. E gli allarmi si susseguivano giornalmente. Dopo la strage del 7 Ottobre, Israele non è più disposta ad accettare questa situazione. E dico Israele, non Netanyahu (come molti amano ripetere) a ragion veduta.
L’opposizione al primo ministro Netanyahu, che certamente esiste nel paese, non è sulla guerra o sulle modalità con cui essa è stata gestita e combattuta (se non per aspetti tattici minori), ma sulla figura stessa del premier, accusato di corruzione, sulle politiche interne del suo governo e, soprattutto, sul non aver saputo prevenire la strage del 7 Ottobre. È un’opposizione analoga a quella presente in qualsiasi paese democratico, ma non intacca lo spirito unitario di Israele: i ragazzi si presentano al servizio di leva senza ammutinamenti, i loro genitori non protestano, i riservisti combattono e le loro famiglie accettano di vederli partire. Insomma, la guerra è vista come giusta e opportuna dalla larghissima maggioranza della popolazione. E per tutti è considerata una guerra difensiva.
Dopo la morte a Gaza di Daniel Maimon Toaff zl, un giovane soldato israeliano di lontana origine italiana, il padre non ha protestato o inveito contro Netanyahu o il governo di Israele per la perdita del figlio, come sarebbe avvenuto in molti paesi del mondo, ma ha auspicato una maggiore solidarietà e unione all’interno della società israeliana. È questo il sentimento diffuso in Israele, una società occidentale aperta e democratica. Solo sconfiggendo l’estremismo arabo e iraniano, un obiettivo peraltro che non può essere perseguito da Israele da solo, sarà possibile creare un Medio Oriente pacifico e solidale e consentire agli israeliani e a tutti i popoli della regione di vivere in pace. Perché così pochi in Occidente se ne rendono conto? E, soprattutto, perché non la sinistra?
Alberto Heimler