DIALOGO – Tutti i dubbi dei rabbini italiani
Il 17 gennaio la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei compie 36 anni. Istituita nel 1989, è diventata un punto di riferimento per il confronto tra il mondo ebraico e le diverse confessioni cristiane, non solo cattoliche. Per decenni è stata considerata un’opportunità per discutere questioni teologiche, ma anche per affrontare i pregiudizi e superarli. Quest’anno, tuttavia, come testimonia la nota dell’Assemblea Rabbinica Italiana (Ari) pubblicata di seguito, il contesto è molto diverso. Il dialogo con il mondo cattolico, sottolinea l’Ari, sta vivendo un momento di «crisi profonda». Una crisi legata all’interpretazione data dai vertici della Chiesa agli eventi del 7 ottobre e alla guerra a Gaza, soprattutto in relazione alle reiterate accuse del papa contro Israele per la gestione del conflitto contro Hamas. «Siete sicuri», domanda l’Ari ai vertici della Chiesa, «che la facilità e l’intensità con cui viene attaccato solo lo Stato d’Israele non rinfocoli un antico retaggio antigiudaico?».
In occasione della giornata del dialogo, vorremmo sottoporvi alcune osservazioni sulle condizioni del rapporto ebraico-cristiano.
Sebbene esistano oggi rapporti proficui di collaborazione, soprattutto a livello locale, tra comunità ebraiche e cattoliche in Italia, crediamo che il dialogo stia vivendo un momento di crisi profonda e che questa crisi sia determinata essenzialmente dall’atteggiamento assunto da una parte importante del mondo cattolico nell’ultimo anno, dopo i tragici eventi del 7 ottobre 2023.
Abbiamo percepito soprattutto due fenomeni: una scarsa empatia e una sottovalutazione del risorgente antisemitismo e antigiudaismo.
Cominciamo dal primo punto.
La Chiesa cattolica ha legittimamente espresso una profonda empatia nei confronti della popolazione palestinese, una popolazione che vive indubbiamente una tragedia causata da una guerra iniziata su iniziativa di Hamas il 7 ottobre 2023, seguita dalla reazione israeliana, tragedia che nelle nostre preghiere auspichiamo possa finire quanto prima.
Quello che a noi sembra essere mancato è un’empatia paragonabile verso la popolazione israeliana, sottoposta a una terribile strage il 7 ottobre, al rapimento di ostaggi tenuti in condizioni atroci da Hamas, al lancio continuo di missili (si calcolano circa 40.000 missili e droni complessivamente) sulla popolazione civile, che hanno causato distruzione e stragi (solo per fare un esempio i bambini del campo di calcio di Majdal Shams) e hanno portato all’evacuazione sia del Sud sia del Nord di Israele. Ma soprattutto verso una popolazione che vive una prospettiva spaventosa, circondata da nemici che dichiarano esplicitamente di voler distruggere quella che chiamano “entità sionista”.
Sconcerta che non provochi scandalo la minaccia che non data da oggi di distruggere interamente una nazione (ricordiamo l’orologio di Teheran che segnerebbe gli ultimi giorni di Israele) e potrebbe portare allo sterminio di milioni di ebrei.
Su tutto questo abbiamo sentito pochissimo la voce del mondo cattolico e, in particolare, la voce del Pontefice che, al netto di dichiarazioni generiche di vicinanza alle popolazioni e di preghiera per loro, quando ha voluto alzare i toni lo ha fatto quasi esclusivamente nei confronti di Israele.
Quello che invece non è mancato è una partecipazione di voci cattoliche, e in questo caso anche del Papa, al processo di demonizzazione di Israele, accusato di genocidio, di ogni sorta di crimine, di uccidere deliberatamente bambini, di affamare la popolazione civile. Accuse formulate senza tenere conto di alcun dato che smentisca questa ricostruzione dei fatti e senza mettere in rilievo le terribili responsabilità di Hamas che usa i civili come scudi umani. Ci si appiattisce su una propaganda di parte che ha spesso come fonte delle organizzazioni terroristiche.
Ci stupisce che non ci si preoccupi della pericolosità di queste prese di posizione, che non ci si interroghi su quanto tutto ciò possa resuscitare mostri che credevamo sepolti.
Ricordiamoci l’insegnamento del disprezzo, a cui faceva riferimento Jules Isaac, che fu il punto di partenza del dialogo ebraico-cattolico. Questo tipo di insegnamento è stato praticato in buona parte della storia del cattolicesimo. Gli ebrei, in un passato non remoto, sono stati considerati deicidi, infanticidi, parassiti che succhiano il sangue degli innocenti, usurai che affamano e sfruttano la povera gente.
Siete così sicuri che tutto questo non riaffiori?
Siete sicuri che lo Stato di Israele non venga attaccato per quello che è e rappresenta, prima che per quello che fa?
Siete sicuri che la facilità e l’intensità con cui viene attaccato solo lo Stato d’Israele non rinfocoli un antico retaggio antigiudaico?
Siete sicuri che sia casuale che, alle innumerevoli stragi di cui sono vittime gli esseri umani in questo momento (per fare qualche esempio: Sud Sudan, Siria, Etiopia, Nigeria, Libia, Yemen, ecc.), si facciano solo riferimenti sporadici, mentre su ciò che avviene a Gaza si insista quotidianamente con espressioni vibranti e dirette?
Siete sicuri che sia normale che non vi sia una minima comprensione per un paese che tenta di combattere per la propria esistenza, mentre fa parte della tradizione della Chiesa provare a comprendere le ragioni di tutti, anche quelle meno difendibili?
Vi sembra normale che, se dobbiamo dare retta a quanto comunicato dai rappresentanti iraniani (e che non è stato smentito), il Papa abbia espresso una condanna senza appello del governo israeliano in presenza dei rappresentanti dell’Iran, cioè di un paese che combatte senza pietà qualunque forma di dissenso, dove nell’ultimo anno sono state eseguite oltre 900 condanne a morte, e che si propone esplicitamente la distruzione dello Stato d’Israele da oltre 40 anni?
Noi non crediamo che la Chiesa cattolica sia antisemita, né che i vertici di questa importantissima istituzione siano antisemiti. Crediamo però che questa istituzione stia sottovalutando il risorgente antisemitismo e antigiudaismo.
Un intellettuale russo di fine ’800, Pinsker, disse che l’antisemitismo è una patologia ereditaria. Proprio per questo è estremamente pericoloso: è molto difficile combattere una patologia ereditaria, perché riemerge anche in maniera inaspettata.
P.S. Abbiamo apprezzato la presa di posizione del Card. Zuppi riguardo al vergognoso episodio di Bologna e la sua netta condanna di ogni forma di antisemitismo. Siamo convinti che questa posizione sia condivisa da molti amici del mondo cattolico, non crediamo però che ciò sia sufficiente, è necessario che ci sia una riflessione più articolata su ciò che sta avvenendo.
Consiglio Ari
(Nell’immagine il presidente dell’Ari, rav Alfonso Arbib, e l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, durante un incontro sul dialogo interreligioso al Memoriale della Shoah di Milano)