USA – Le fiamme e la channukia salvata

Per i membri della famiglia Kotler riunirsi a Chanukkah era una tradizione importante sin da quando Josh Kotler, ora 39enne, era bambino e viveva a New York. Sua nonna Leah, sopravvissuta alla Shoah, anche quando non era con il resto della famiglia riusciva a portare avanti la tradizione, mandando una fotografia della sua chanukkia accesa. Come ha raccontato Louis Keene sul Forward, già durante la fuga dagli incendi che si stavano avvicinando a casa sua, ad Altadena, Kotler ha realizzato che la chanukkiah di sua nonna era rimasta alla mercé del fuoco. Secondo suo cugino – anch’egli nipote della matriarca – la menorah sarebbe forse uscita indenne dalle fiamme, ma era una speranza davvero fievole, soprattutto dopo aver visto le immagini di tutto l’isolato ridotto in cenere. L’incendio nell’area nord-est di Los Angeles ha distrutto migliaia di abitazioni. Eppure già durante il primo sopralluogo grazie all’intervento di un pompiere la chanukkiah dal design insolito è stata recuperata. Bruciata ma intatta, l’unico oggetto sopravvissuto all’incendio. E come ha raccontato Rachel Steinhardt alla Jewish Telegraphic Agency, che si tratti di un’antica menorah d’argento o dei tefillin dei nonni, sono molti i ricordi che i sopravvissuti alla Shoah sono riusciti a portare negli Stati Uniti. E mentre l’incendio stava avanzando verso casa dell’autrice il primo pensiero è stato raccoglierli, insieme ad alcuni album di fotografie, e prepararsi a portarli con sé. Non è poi stato necessario, l’incendio ha cambiato traiettoria, ma sono molte le famiglie che hanno perso tutto. Ogni casa distrutta conteneva una vita di ricordi e manufatti, che non sono “solo cose”, come spesso si sente dire chi è appena rimasto senza una casa. Quasi tutti gli oggetti sono, in teoria, sostituibili ma, scrive Steinhardt, le famiglie ebraiche tendono ad avere se non un armadio almeno un ripiano di oggetti tradizionali. Che si tratti di cimeli, tramandati da generazioni, o di oggetti di recente acquisizione, la loro presenza rappresenta in un certo senso, una “casa portatile”: «Quando li tiriamo fuori li mettiamo al loro posto abbiamo trasformato lo spazio in una casa ebraica. I miei nonni si sono procurati la loro menorah, i candelabri e i tefillin dopo la guerra, quando erano di fatto senza casa. Dovendo abbandonare tutto cosa mi porterei dietro? Quali sono le cose che contano davvero?». Quando qualcosa che è stato passato di mano in mano da una generazione all’altra viene perduto una copia non può sostituirne il valore, e la comunità ebraica di Los Angeles si sta già interrogando. Cosa offrire a chi ha perso tutto, come restituire il sapore di casa?