LA POLEMICA – Emanuele Calò: la Farnesina dei Comuni
La vicenda delle bandiere esposte dal Comune di Bologna potrebbe (o dovrebbe?) essere studiata presso i Dipartimenti di Scienze Politiche, come esempio moderno della via domestica all’incartamento, se non altro perché questa accezione è contenuta nella Treccani. In Italia, perfino i municipi predispongono e talvolta diffondono, delle ponderose dichiarazioni di politica estera. Un municipio romano ne ha predisposto una, la cui bozza mi è pervenuta per un parere. Sono rimasto molto ammirato: davanti a casa mia una regista aveva deciso di chiudere la strada con un nastro segnaletico, finché non sono giunti i vigili; a pochi passi dal Senato, vi è una discarica che viene puntualmente svuotata, e una volta vi avevano piazzato addirittura un bidet dismesso, il quale poteva essere scambiato per un servizio umanitario per sopperire al cosiddetto overtourism. In molte strade, dormire è un’impresa. Eppure, vi è nei municipi chi trova il tempo per deviare da cotanta prosaicità per seguire le orme di Talleyrand, Kissinger e Walzer: beati loro.
La passione dei Comuni e dei municipi per la politica estera è frutto di una incomparabile sensibilità umana o di una certa qual superficialità? Non lo so, ma non vorrei che a forza di allargare le competenze in materia di politica internazionale si finissero per coinvolgere i Consigli di condominio di recente istituzione oppure il sindacato degli umarèll. Non mi pare che in questa vicenda, che vede il sindaco stendere una bandiera palestinese alla finestra, gli esiti siano stati entusiasmanti, se non altro perché si sono indignati, nell’ordine, prima gli ebrei, perché volevano vi fosse la bandiera israeliana accanto a quella palestinese, sia i palestinesi, che non volevano che la loro bandiera fosse affiancata a quella israeliana, mentre la Comunità ebraica locale ha plaudito alla scelta di metterle insieme.
La bandiera palestinese sarebbe rimasta da principio appesa al Comune di Bologna malinconica e solitaria perché, secondo la tesi ufficiale, tale solitudine poteva essere spezzata mediante l’abbinamento a quella israeliana, quando: a) fosse finito il massacro e b) fosse iniziato il dialogo. Sennonché, abbiamo il sospetto che: a) quello del 7 ottobre 2023 fosse un massacro e b) che l’auspicato dialogo con Hamas potesse sollevare qualche dubbio alla luce della sua presenza permanente nella black list dei terroristi stilata dall’Unione europea. Forse, però, sono soltanto fisime di chi scrive. Sta di fatto che, verificatesi secondo l’autorità comunale le condizioni richieste, il Comune ha inserito anche quella israeliana, provocando reazioni non proprio entusiastiche da parte avversa. Vuoi vedere che la formulazione “due popoli, due Stati” non piace a tutti? È di moda sostenere che Israele non la vuole ma, stranamente, ogniqualvolta l’ha proposta, l’Autorità nazionale palestinese l’ha respinta.
I pacifisti in Italia sono tanti, e pure bene organizzati, soprattutto a livello accademico. Eppure, non sono soliti distinguere fra aggressore e aggredito e quando lo fanno si guardano bene dal ricordare che sono vent’anni che Hamas bombarda Israele e non viceversa. Nemmeno dicono se Hamas abbia qualche rivendicazione, esaurita la quale, smetterebbero di aggredire lo Stato ebraico. Così come nemmeno rammentano che dal giorno seguente alla barbara aggressione di Hamas, Hezbollah ha lanciato dal Libano circa 10.000 razzi, missili e droni contro Israele, provocando l’evacuazione di intere aree del nord del paese. Anzi, hanno fornito una versione totalmente diversa, asserendo che l’attacco riguardava le fattorie di Shebaa. Io stesso ho partecipato ad un tavolo per la pace, rimanendo di stucco quando il solo modo previsto da molti partecipanti per addivenire alla pace era quello di incolpare lo Stato ebraico. Non hanno intenzione di imparare alcunché dalla storia del Novecento.
Quanto a Hamas, mentre nello statuto del 1988 invitava gentilmente a fare fuori gli ebrei, in quello del 2017 si rivolge soltanto contro i sionisti. Dev’essere una bella consolazione essere uccisi non perché ebrei bensì in quanto sionisti, se non fosse che l’alternativa di non essere proprio uccisi non è contemplata, onde evitare che ci si monti la testa.
Peraltro, tale distinzione fra ebrei e sionisti è alquanto strumentale, visto che il 12 gennaio u.s. è stata aggredita la Comunità ebraica di Bologna. Al riguardo, il Presidente della Regione, Michele de Pascale, ha dichiarato che “l’aggressione alla sinagoga di Bologna e i gravi atti vandalici che hanno colpito il centro storico della città sono fatti gravissimi, che colpiscono al cuore i valori di convivenza e rispetto su cui si fonda la nostra comunità. Esprimo piena solidarietà alla comunità ebraica, alle forze di polizia e a tutti i cittadini che hanno subito danneggiamenti, a nome mio e della Regione Emilia-Romagna”.
Come se ne esce? Molto facilmente: lavorando sulla narrazione prevalente oppure, per dirla brutalmente, anche con un’informazione televisiva che non escluda sistematicamente la versione pro-israeliana. L’UNAR, l’autorità anti discriminazione, qualcosa potrebbe fare ma, per esempio, quando è stato asserito in televisione che una gran parte della diaspora delle comunità ebraiche non vuole convivere coi palestinesi, il suo interessamento per una rettifica non è approdato ad esiti di sorta, per via dei limiti della vigente normativa. Quanto alla rete televisiva dove era stata pronunciata tale frase, il relativo carteggio è a disposizione dell’autorità competente, ammesso che esista e che sia possibile contattarla.
Sennonché, gli ebrei sono pochi e sono deboli, ed è probabile che il traguardo di una narrazione decorosa appartenga al libro dei sogni. Così stando le cose, consiglierei al sindaco di Bologna di prenderne atto, e di lasciare la politica internazionale al solo dicastero degli Esteri. Tutti sbagliamo, io per primo, e per ora non è prevista la consacrazione del dogma dell’infallibilità dei primi cittadini.
Emanuele Calò