MILANO – Nuove pietre d’inciampo per Alfredo, Italo, Emilia Amalia e i loro genitori

Alfredo Grando nasce a Milano nel 1948. La guerra è ormai alle spalle e l’Italia democratica prova a rialzarsi. Per i sopravvissuti alla Shoah è difficile parlare del proprio orrore, in pochi vogliono ascoltarli, molti vogliono dimenticare. La famiglia Grando no. Non vuole cancellare il ricordo di quei vicini di casa improvvisamente scomparsi, trascinati via dagli aguzzini nazisti solo perché ebrei. Soprattutto non vogliono dimenticare il piccolo, Alfredo Winter, l’amichetto del loro primogenito Tino. Per questo nel 1948 chiamano il secondo figlio Alfredo. Una dedica sentita a quel bambino scomparso nella Shoah, di cui conservano ancora una foto assieme a Tino. I due amici sono immortalati sorridenti, a Milano, a poca distanza dalla casa in via San Felice 2. Hanno circa nove anni. Poco dopo saranno separati per sempre: Alfredo, la madre Meta Marie Kuh e la nonna Karoline Meyer saranno deportati ad Auschwitz il 26 giugno 1944. Nessuno dei tre farà più ritorno. In loro memoria oggi a Milano, in via San Felice 2, sono state posate tre pietre d’inciampo (Stolpersteine), i piccoli monumenti in ricordo delle vittime della deportazione nazifascista. «Assieme al Comitato pietre d’inciampo, come associazione culturale Tracce, abbiamo voluto e sostenuto la posa di queste tre pietre per non dimenticare la storia di Alfredino», racconta Rosario Tedesco, attore e regista, impegnato in molte iniziative per la memoria. Una di queste è “Due dentro ad un foco – Storie di pietra”, un percorso urbano avviato a Milano per raccontare le vite incise sulle pietre d’inciampo. «Lo scorso anno ci siamo imbattuti nella storia dei Winter. Sapevamo molto poco di loro: erano una famiglia tedesca, trasferitasi a Milano tra il 1937 e il 1938. Grazie al lavoro di Alberta Bazzan della Fondazione Cdec e di Alessandra Minerbi, presidente del Comitato pietre d’inciampo, sono emerse alcune informazioni in più, ma c’è ancora molto da scavare». A dare alcune notizie è stata un’intervista rilasciata diversi anni fa da Alfredo Grando. «Racconta come la sua famiglia fosse amica dei Winter, del legame tra il fratello Tino e Alfredino. E ricorda anche la scelta dei genitori del suo nome: Alfredo».

I bambini deportati
La storia del piccolo Winter, deportato a nove anni, riporta l’attenzione «su un tema spesso poco affrontato: la deportazione dei bambini da parte dei nazifascisti. Le pietre poste oggi sono un segno tangibile del nostro impegno a non dimenticare», sottolinea Tedesco. «Io ho una bambina di nove anni e non riesco a non pensare ad Alfredino». Alla posa in via San Felice, una delle 14 organizzate per oggi a Milano per altrettanti deportati, hanno partecipato anche delle scolaresche. «È stato emozionante ascoltare i loro pensierini per Alfredino. Erano semplici, ingenui, ma pieni di affetto». Questa sera (20.30) Tedesco tornerà a raccontare la storia dei Winter alla Casa della Memoria, assieme a Minerbi e altre ragazzi e ragazze parte del progetto Pietre d’inciampo di Milano.
Tra le nuove pietre poste in città ci sono anche quelle dedicate ad Aldo Levi, in via Donatello 26/a, con la moglie Elena Viterbo e i figli Italo ed Emilia Amalia di appena 5 anni, la bambina del treno della morte citata da Primo Levi in Se questo è un uomo. Il papà Aldo era un ingegnere, capo dei servizi elettrici del Comune di Milano. Dopo il censimento degli ebrei venne identificato ed espulso. Non poteva più lavorare. Con la famiglia cercò un primo appoggio a Lodi per fuggire in Svizzera ma a Como furono arrestati tutti e deportati ad Auschwitz. «Una famiglia normale e allo stesso eccezionale. Per noi erano degli amici grandissimi», ha ricordato Paola Vita Finzi, classe 1932, riuscita a fuggire in Svizzera con la famiglia. «Oggi mi fa piacere che i Levi vengano ricordati con le pietre d’inciampo, mi commuove».

d.r.