DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 6 febbraio 2025
Il nuovo progetto di Donald Trump, fare di Gaza la Riviera del Medio Oriente, continua a suscitare reazioni. Netta l’opposizione del mondo arabo, ma anche di molti paesi europei. L’annuncio del presidente Usa è stato interpretato in due modi, sottolinea tra gli altri il Corriere della Sera: «La prima è che sia un bluff, come i dazi contro il Messico e il Canada; un modo per dire ai paesi arabi “Posso rendere le cose molto peggiori per voi, se non mi venite incontro”. E forse un modo per incoraggiare l’estrema destra israeliana ad andare avanti con il cessate il fuoco. L’altra interpretazione è che ci sia qualcosa di serio dietro la proposta». L’idea di trasformare Gaza in una località turistica, ricorda Repubblica, fu lanciata non troppo tempo fa dal genero Jared Kushner: «Era il febbraio scorso, la guerra era nel pieno della sua brutalità e quasi nessuno ci fece caso. Kushner, durante un incontro alla Harvard University, disse che il lungomare di Gaza “è di gran pregio” e che Israele “può spostare tutti gli abitanti e ripulirlo”. Un anno dopo sono le stesse parole che ha usato Trump». Per La Stampa,«la bordata» del presidente Usa «stravolge 80 anni di politica statunitense» nell’area. Per il Foglio, «Trump l’ha sparata più grossa del solito». Come riporta Libero, Trump è «sempre felice di sfidare il resto del mondo».
Maurizio Molinari, su Repubblica, scrive che il presidente Usa utilizza un linguaggio di rottura e a tratti brutale «perché il primo e fondamentale intento è convincere ogni interlocutore che le regole del gioco sono mutate» e gli Stati Uniti «useranno “in maniera massiccia” la propria forza con una formula assai diversa da quanto visto dal 1945 in poi: priorità alla potenza economica e poi, a supporto, quella militare». Sulle stesse pagine, l’avvocata britannica e negoziatrice Nomi Bar-Yaacov dichiara in una intervista che l’intento di Trump «non può essere messo in pratica», trattandosi di un piano «assolutamente illegale nei confronti del diritto internazionale, incluso quello umanitario». Con Repubblica parla anche Daniel Lifshitz, nipote di un ostaggio prigioniero a Gaza da quasi 500 giorni. Secondo Lifshitz, «le discussioni sul “giorno dopo” a Gaza devono rimanere separate dall’implementazione dell’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione di tutti gli ostaggi». A detta di Fiamma Nirenstein (Il Giornale), l’intervento del presidente Usa è positivo e rappresenta «l’inizio di un cammino a occhi aperti che può cambiare del tutto il Medio Oriente». Diverso è il pensiero di Davide Assael, che firma su Domani un’analisi dal titolo “Quell’orrendo patto tra Bibi e The Donald”.
La proposta di Trump è commentata anche da Avi Melamed, ex funzionario dell’intelligence israeliana e negoziatore durante la seconda Intifada. In una intervista con la Stampa, Melamed sostiene: «La cosa più significativa, che è un po’ assente nella discussione occidentale, è che molte persone a Gaza in realtà accoglieranno con favore il governo degli Stati Uniti nella Striscia. La popolazione palestinese desidera un futuro diverso». Melamed parla di «centinaia di migliaia di sfollati che non hanno più nulla a causa dell’esito della guerra» e non esclude che dietro le quinte Giordania, Egitto e Arabia Saudita non siano poi in realtà così contrarie «a vedere gli Usa subentrare in una questione che per loro è fonte di grandi mal di testa».
Sulla crisi in Medio Oriente e sulle sue possibili ripercussioni globali il Messaggero intervista l’ambasciatore Ettore Sequi, già segretario generale del ministero degli Esteri. L’ex dirigente della Farnesina lancia l’allarme: «Abbiamo visto una ripresa di varie forme di terrorismo, sia dentro Israele sia contro interessi genericamente occidentali. La diffusione dell’idea che vi sia una seconda Nakba è molto rischiosa anche per noi».