LA SPIGOLATURA – Roberto Jona: Il latte, il capretto, il ferro e il calcio
Una norma ripetuta due volte nell’Esodo (23,19 e 34,26) e confermata nel Deuteronomio (14,2) vieta alla cucina degli ebrei di cuocere la carne dell’agnello nel latte della madre. Questo divieto di difficile comprensione, ma cui generazioni di ebrei si sono adeguati, ha creato una cucina di complessa realizzazione, ma ugualmente assai gustosa. L’essenza di questo comandamento ha portato a una netta separazione nella preparazione degli alimenti dei latticini dai prodotti contenenti carne. Ma la separazione coinvolge anche gli strumenti per la preparazione dei cibi: quindi pentole “da carne” e altre “da latte” e così via per piatti, posate e quant’altro. Per secoli questa norma scritta nella Torah è stata rispettata con la maggior cura e attenzione possibile. Con sorpresa mi sono di recente imbattuto nelle analisi biochimiche e nei suggerimenti nutrizionistici di una studiosa napoletana, Marianna Maione, biologa nutrizionista che comincia chiedendosi «quante volte abbiamo gustato un bel piatto di carne accompagnato da formaggi o latticini, pensando di concederci un pasto ricco e nutriente? Questa combinazione tanto amata dagli italiani non è affatto ideale dal punto di vista nutrizionale». Maione spiega che il problema principale risiede nella competizione tra il ferro, presente nella carne (soprattutto quella rossa), e il calcio, contenuto nei latticini. «Questi due minerali competono per l’assimilazione nel nostro organismo, finendo per annullarsi a vicenda», afferma l’esperta. Questo significa che, mangiando carne e latticini nello stesso pasto, il nostro corpo potrebbe non assorbe in modo ottimale né il ferro né il calcio. Questa competizione si verifica a livello intestinale, dove i minerali utilizzano gli stessi canali di trasporto per essere assorbiti. Quando vengono ingeriti contemporaneamente si crea una sorta di “ingorgo”, riducendo l’efficacia con cui il corpo riesce a trarne beneficio. Considerazioni biochimiche che ho copiato dal sito di questa nutrizionista napoletana, ma che sembrano scritte più da un rabbino che da una biologa. L’elemento che colpisce è la profonda coincidenza tra il discorso biochimico e la Halakhah, il complesso della legga ebraica. I Maestri ci hanno sempre insegnato a rispettare queste prescrizioni halachiche sulla base dei comandamenti, non con argomenti scientifici o salutistici. L’immagine del capretto cucinato nel latte della madre è “romantica” ma nasconde una questione biochimica non comprensibile dai fedeli, e viene così rivestita di pietà per questi esseri viventi che sacrifichiamo per la nostra sopravvivenza, al fine di stimolare l’osservanza della norma. Come implicitamente indicano le numerose e complesse prescrizioni alimentari ebraiche, l’assunzione di sostanze nutritive non è esente da rischi per la nostra salute. In molti casi l’effetto negativo è palese e non abbiamo difficoltà ad astenerci da assunzioni dannose; in altri la negatività è meno palese. Particolarmente quando si tratta di alimenti gradevoli e utili. In qualche caso due alimenti sono entrambi gradevoli e utili al nostro organismo, ma la loro combinazione diviene dannosa anziché utile. Intuitivamente la cosa appare un controsenso: se un alimento è utile, due dovrebbero esserlo di più. Invece ciò non avviene. Maione ce ne fornisce le ragioni chimiche, illustrando il contrasto e la competizione tra elementi chimici contenuti nei latticini e nella carne. Interessanti conseguenze di queste norme sono le strutture architettoniche e tecniche delle cucine kasher, sia a livello familiare e a maggior ragione a livello commerciale, nei ristoranti.
Roberto Jona, agronomo