L’OPINIONE – Alberto Heimler: Con la fine di Hamas la pace più vicina

Sono settimane che mi chiedo perché mai il governo israeliano abbia accettato proprio adesso il cessate il fuoco e lo scambio ostaggi-prigionieri che era la prima richiesta di Hamas all’indomani del 7 ottobre 2023. Io pensavo che dopo l’uccisione di Yaya Al-Sinwar il 16 ottobre 2024 Israele avrebbe ripreso le trattative. Invece è stato Trump, mesi dopo, a convincere Netanyahu al cessate il fuoco.
Come ci è riuscito nessuno lo sa con precisione. Quello che osserviamo è un appoggio incondizionato a Israele da parte della nuova amministrazione americana, la ripresa dell’invio delle munizioni più letali e l’ostentata indifferenza verso le esigenze palestinesi. Lo slogan due popoli due Stati non viene più suggerito come soluzione.
Nonostante le proteste di molti, sono tutti passi avanti verso una soluzione del conflitto. Hamas è un irriducibile nemico di Israele che persegue la sua distruzione. Palestina libera dal fiume al mare significa sostituire Israele con un unico Stato palestinese, forse un califfato. Smettere di invocare due Stati, di cui uno evidentemente controllato da Hamas, è un passo avanti verso la pace perché sottintende la sostituzione dell’attuale leadership palestinese, ancora saldamente nelle mani di Hamas, con una leadership più moderata, capace di immaginare e di realizzare una reciproca convivenza.
Gli ormai vent’anni di governo di Hamas a Gaza mostrano che senza una sollecitazione esterna la società palestinese non ha la forza di probabilmente neanche l’interesse a cambiare. Con la violenza e la repressione interne, Hamas ha eliminato ogni opposizione. Israele ha offerto 5 milioni di dollari a chi forniva informazioni su dove fossero nascosti gli ostaggi. Nessuno si è fatto avanti. Non so se questo è avvenuto per paura o perché la popolazione è coesa dietro i propri leader. In ogni caso conferma che la società palestinese da sola non è in grado di ribellarsi. Un’amministrazione esterna (Egitto, Arabia Saudita, Emirati Stati Uniti) su una Gaza senza Hamas potrebbe ricostruire la fiducia della popolazione palestinese verso posizioni più cooperative e moderate.
Se questo avvenisse, anche l’appoggio di una parte non irrilevante dell’elettorato israeliano verso le forze oltranziste di destra svanirebbe. Il voto a Itamar Ben Gvir e a Bezalel Smotrich è un voto di reazione all’estremismo palestinese e alla dimostrata incapacità delle forze moderate israeliane di arrivare a una soluzione pacifica. Di fronte a una Palestina moderata anche Israele tornerebbe quello che era.
Ma non è tutto. L’appoggio incondizionato della nuova Amministrazione americana a Israele implica anche cose non rivelate, ma che tutti sospettano: l’appoggio americano alla distruzione del progetto nucleare iraniano. Gli iraniani aspettano ogni giorno che Israele attacchi. E non hanno torto. L’attacco ci sarà, a meno che il programma nucleare venga abbandonato spontaneamente. Ma le paure dell’Iran indeboliscono ancora di più Hamas che si trova adesso isolata quanto mai nella sua storia.
La speranza è che lo spirito di sopravvivenza prevalga e che la leadership di Hamas lasci Gaza e che tutti gli ostaggi tornino a casa. Basta con la guerra. Non mi pare che abbiano alternative.

Alberto Heimler