LA NOTA – David Sorani: I danni irreparabili degli “ebrei buoni”

È molto, troppo facile volersi distinguere, prendere le distanze, scegliere di interpretare sulla scena italiana il ruolo degli “ebrei buoni”, degli “ebrei di sinistra” che amano mostrare di “stare con la gente”, col “tessuto della società israeliana” e non con le sue istituzioni, col suo governo, col suo esercito. Eccoli qui, i falsi campioni dell’ebraismo che proprio nel giorno dei funerali di Shiri Bibas e dei suoi bimbi si staccano da un ambiente ebraico che giudicano troppo appiattito sulle posizioni ufficiali e decidono di smarcarsi dagli altri per apparire più virtuosi ai loro amici radical-chic, lanciando giudizi terribili che suonano come anatemi sull’esecutivo israeliano e di fatto su tutti i correligionari che non la pensano come loro. I duecento ebrei italiani (fra loro fior di intellettuali e giornalisti) firmatari della petizione “No alla pulizia etnica” lanciata giovedì e ripresa da molti giornali forse non si rendono ben conto della portata negativa del loro gesto: negativa per l’immagine di Israele, per la minoranza ebraica italiana in una fase di crescita esponenziale dell’antisemitismo nella sua forma attuale di antisionismo di sinistra, per i rapporti dell’ebraismo italiano con le istituzioni nazionali e israeliane.
È lecito essere duramente critici nei confronti del governo di Israele e di alcune sue scelte politiche; possono essere condivisibili giudizi negativi sulle posizioni estremiste di Ben Gvir e di Smotrich. Ma sarebbe auspicabile esprimere pareri dissenzienti cercando di calarsi concretamente nelle difficili situazioni in cui la società israeliana si trova a partire dal 7 ottobre 2023, analizzando le motivazioni che stanno alla radice di tante incomprensioni e controversie locali, sforzandosi in particolare di chiamare le cose col loro nome, senza enfatizzare e criminalizzare ogni atteggiamento contrario alla popolazione palestinese. Invece no, le anime belle scelgono di usare senza reali riscontri e senza tangibile contenuto la terminologia del crimine internazionale, parlando addirittura di “pulizia etnica”, equiparando dunque la situazione attuale a Gaza, le tensioni in Giudea e Samaria e le deprecabili violenze dei cosiddetti “coloni” nei confronti di parte della popolazione locale (peraltro parzialmente collusa con tanti attentati in territorio israeliano) a quanto avveniva in Bosnia e in Ruanda nei primi anni Novanta del secolo scorso. Additare al pubblico ludibrio il governo israeliano (di fatto lo Stato di Israele, già nell’occhio del ciclone per l’indegna accusa di genocidio) e la gran parte degli ebrei italiani che non hanno firmato quel documento significa abbandonare il fratello nel momento del bisogno, seminare zizzania nel terreno che dovrebbe essere il proprio, passare armi e bagagli dalla parte dei nemici di Am Israel. Proprio nel momento di maggiore difficoltà.

David Sorani