DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 4 marzo 2025
«Gaza, intesa o tra dieci giorni torna la guerra» titola La Stampa, dando il quadro temporale per la possibile ripresa del conflitto tra Israele e Hamas. Parlando alla Knesset, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha avvertito: «Siamo pronti a una nuova guerra», dichiarando di essere però disponibile a trattare la seconda fase dell’accordo di cessate il fuoco, spiega il Giornale.
Al discorso di Netanyahu al parlamento israeliano volevano partecipare una quarantina di famigliari di vittime del 7 ottobre, ma ad alcuni è stato impedito con la forza di entrare nella sezione per il pubblico. «Picchiati alla Knesset i parenti degli ostaggi», sintetizza Repubblica. La loro richiesta al governo è di istituire una commissione d’inchiesta statale, ma Netanyahu, scrive il quotidiano, è contrario. «I membri di questo genere di commissioni in Israele sono normalmente nominati dal presidente della Corte Suprema e condotte da un ex giudice dello stesso tribunale. Ma Netanyahu considera l’attuale presidente Yitzhak Amit un avversario politico», spiega Repubblica. Tra chi chiede al premier subito una commissione d’inchiesta c’è anche Yarden Bibas, che una settimana fa ha seppellito i figli e la moglie, assassinati da Hamas, «Lei e il suo governo non vi siete ancora assunti la responsabilità per il 7 ottobre» (Corriere, Repubblica e Giornale).
Libero segnala l’attentato alla stazione di Haifa dove è stato ucciso a coltellate Hassan Dahamshe, arabo israeliano di 70 anni, e altre quattro persone sono state ferite. L’attentatore era un ventenne druso con cittadinanza israeliana e tedesca. «L’attacco con il coltello a Haifa a opera di un druso non rappresenta la comunità leale allo Stato d’Israele», ha dichiarato il parlamentare druso Hamed Amar, del partito di opposizione Yisrael Beitenu. Hamas, prosegue Libero, ha esaltato l’attacco terroristico, mentre la famiglia dell’attentatore ha parlato di «disturbi mentali» del giovane.
Nella sua rubrica «Diario da Israele» sul Corriere lo scrittore Eshkol Nevo racconta il dolore di parenti e amici degli ostaggi tornati da Gaza senza vita. «Gli ostaggi che tornano in una bara non si possono abbracciare. I figli non gli corrono incontro. I compagni di vita non posano un bacio sulle loro labbra», scrive Nevo. Lo scrittore si interroga sul lutto, sul futuro del rapporto con i palestinesi e sull’attuale leadership israeliana.
I paesi della Lega araba si riuniscono oggi al Cairo per discutere il piano per il futuro della Striscia di Gaza alternativo a quello Usa. Il Sole 24 Ore ne anticipa alcuni punti: designa tre zone all’interno dell’enclave per trasferire i palestinesi durante un periodo iniziale di 6 mesi. Le zone sarebbero dotate di case mobili e rifugi, con l’afflusso di aiuti umanitari. La proposta include anche l’istituzione di un’amministrazione palestinese ad interim per gestire Gaza, non allineata con Hamas né con l’Autorità nazionale palestinese (Anp), fino al rinnovamento di quest’ultima. Dopo l’adozione del piano al vertice arabo, l’Egitto avvierà colloqui con i principali paesi donatori, tra cui l’Europa.
«Ankara e Gerusalemme sono le protagoniste di quello che appare destinato a diventare il nuovo equilibrio strategico regionale, conseguenza diretta del declino dell’Iran degli ayatollah», scrive su Repubblica Maurizio Molinari. Secondo Molinari Israele e Turchia sono in competizione nel rimodellare il Medio Oriente. Gerusalemme spinge per mantenere la Russia in Siria a scapito proprio della Turchia, lavora per la normalizzazione dei rapporti con Riad con l’aiuto Usa, ma allo stesso tempo si prepara a riaprire il conflitto contro Hamas, sostiene la firma di Repubblica. La Turchia dal canto suo cerca di estendere il suo potere in Siria, trovare un accordo con una parte dei curdi e inserirsi come protagonista nella gestione di Gaza, mentre l’Iran cede il passo, indebolito dagli effetti del post 7 ottobre.
Diversi quotidiani riportano le parole della senatrice a vita Liliana Segre in occasione di un evento organizzato dall’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, al Memoriale della Shoah di Milano. Segre si è definita «atterrita» nel vedere in tv come il presidente Usa Donald Trump e il suo vice JD Vance hanno trattato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. «Quello che era stato invaso diventava l’invasore in un ribaltamento iniziato quando è stato eletto il nuovo presidente americano. Io, che sono stata e che sono ancora vittima dell’odio, rimango ancora più male adesso che mi crolla l’America. Non voglio che crolli, voglio che ci siano ancora quegli americani che ricordo sorridenti, generosi e felici», ha dichiarato Segre nel corso dell’incontro Le vittime dell’odio, in cui ha dialogato con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Il ministro ha definito «molto preoccupanti» i dati sull’antisemitismo in Italia
Il Giornale parla del nuovo arrivo nel board di Stellantis: «Daniel Ramot, imprenditore e scienziato israelo-americano, cofondatore e ceo di «Via», azienda tecnologica di trasporto globale che opera in oltre 35 Paesi e che da diversi anni ha come azionista la holding Exor».
La serata degli Oscar è stata dominata dal film Anora di Sean Baker, che si è portato a casa quattro statuette: miglior film, regia, sceneggiatura e montaggio. Tre le ha vinte The brutalist di Brady Corbet, in cui Adrien Brody – premiato come miglior attore protagonista – interpreta un architetto scampato alla Shoah e trasferitosi negli Usa. Il premio come miglior attore non protagonista è andato a Kieran Culkin, che interpreta un nipote di sopravvissuti alla Shoah in A Real Pain. Polemiche sulla pellicola vincitrice della statuetta nella sezione documentari: No other land del palestinese Basel Adra e l’israeliano Yuval Abraham, documentario sulla demolizione di un villaggio palestinese in Cisgiordania. Entrambi i registi hanno attaccato Israele dal palco parlando di «pulizia etnica del popolo palestinese». «Hollywood certifica la deriva antisemita», scrive sul Giornale Fiamma Nirenstein, commentando le frasi di Adra e Abraham. Il Foglio sottolinea come il documentario dimentichi completamente il terrorismo palestinese.
Su Avvenire l’ebraista Maria Teresa Milano racconta del legame tra la musica e la Bibbia. «Fin dalle prime righe, le melodie e i canti accompagnano la narrazione biblica, quale elemento imprescindibile dell’esistenza. II canto esprime la lode a Dio, il dolore, la gioia, la speranza, l’amore, la rabbia e la meraviglia di fronte all’opera della Creazione e nei secoli accompagna la preghiera e il culto nel Tempio» , scrive Milano, citando anche il rabbino Jonathan Sacks: «La Torah è il libretto d’opera di Dio e noi siamo il coro, perché la musica è il linguaggio dell’anima».