7 OTTOBRE – Renzo Ventura: La fine di ogni equivoco

Il 7 ottobre è stato traumatico e terribile.
Il 7 ottobre ha dimostrato che Israele non è invincibile e che il diritto alla propria esistenza se lo deve, ancora e sempre, conquistare.
Il 7 ottobre è una data che divide il prima dal dopo, ed è una data che non dovrebbe consentire a nessuno di avere le idee confuse sul conflitto in Israele.
Oggi, dopo quanto emerso, non sembra più possibile dubitare sui “loro” programmi, distruttivi e definitivi.
È orribile da dirsi, ma la guerra iniziata il 7 ottobre ha avuto i suoi pregi e i suoi vantaggi: essa ha reso, una volta per tutte, estremamente chiari gli obiettivi che ‘loro’ desiderano raggiungere, con gli israeliani e con gli ebrei.
Per chi ancora non avesse capito, o non volesse capire, alternative di interpretazione non sono concesse.
Anzitutto, e già prima lo si poteva intuire ma oggi è oggettivamente accertato, i due stati “loro” non li vogliono, ne vogliono uno solo, dal fiume Giordano al mare Mediterraneo. Messo per scritto e sempre dichiarato.
Ovunque nelle scuole o negli uffici si appendono al muro carte geografiche in cui si insegna che lo stato è uno, il loro: Israele non esiste e, poiché di fatto esiste, va distrutto con ogni mezzo. Nove milioni di persone annullate con un banale genocidio. Bel programma!
Quanto poi alla sorte degli infedeli in Europa, il programma è un altro. E verrà eseguito a suo tempo.
Certo è che molti di noi, ebrei e non ebrei, sionisti o antisionisti, semiti o antisemiti, fino al 7 ottobre, abbiamo dato poco peso ai particolari e abbiamo sminuito la portata del fenomeno, pur di avviarci, con un filo di speranza, alla pace.
Oggi questo tipo di analisi non è più tollerabile, poiché superata dai fatti e dai proclami.
E tutta la storia, dal ‘48 a oggi, andrà riletta con molta attenzione.
Un esempio su tutti: dagli statuti costitutivi e fondamentali dei movimenti nemici, ritrovati anche nelle scuole di Gaza, si evince con chiarezza che il diritto sulla terra è solo ‘loro”.
Con tanti saluti alla spartizione dell’Onu, ai terreni acquistati, eccetera; quanto agli ebrei, che se ne tornino da dove sono venuti, cioè dalla Russia ,dalla Polonia e dai paesi arabi:  peccato che anche i loro fratelli musulmani li avessero, nel migliore dei casi, cacciati. Tutto in linea con gli insegnamenti del Mein Kampf e dei Protocolli dei Savi di Sion, volumi trovati in quantità a Gaza.
Un po’ di sano antisemitismo, condito con le immagini dei loro bambini educati a mitra e pallottole fin dall’infanzia, non fa mai male.
Dunque questi dati di fatto, dopo il 7 ottobre, sono accertati.
Noi non possiamo quindi più valutarli in modo buonista così da compiacere gli  altri, così come spesso abbiamo fatto per buona vicinanza, per essere più facilmente accettati. Abbiamo invece oggi l’obbligo morale, soprattutto nei confronti di chi è stato sacrificato con la vita, o che è ancora sofferente, disperato e sotterrato vivo nei tunnel di Hamas, di leggere le carte così come sono, proprio ora che ne abbiamo la disponibilità, con una visione e una lettura univoca e inoppugnabile. Solo dopo potremo cercare la pace e con chi farla.
Che Abu Mazen faccia discorsi in doppia lingua si sapeva, ma oggi con forza andrà sottolineato che al mondo dice una cosa in inglese e ai suoi ne dice una opposta in arabo.
Questa è una storia vecchia di molti anni, ma va rivisitata. Infatti non si possono più usare gli strumenti storico cognitivi degli anni ’50/’70 per valutare la situazione.
Dovremmo sempre ricordare, anche a noi stessi, che tra “loro” ci sono anche uomini e donne pronti a soffocare a freddo dei bambini piccoli. E l’hanno già fatto.
Oggi dobbiamo essere certi che non vogliono i due stati, che hanno provato a iniziare a distruggerci il sette ottobre, senza contare il fatto che per anni hanno tirato migliaia di razzi sui civili sperando in una strage.
Ora sappiamo che questa macelleria non è resistenza ed è chiaro cosa vuol dire dal fiume Giordano al mare. E dunque non sembra che si possa parlare ancora in giuridichese in ordine alle rivendicazioni territoriali di tutte le parti in causa: anzitutto di tutta Israele, che  deve essere distrutta. E niente distinzioni tra ante ‘48 e ante ‘67: vanno eliminate, e chi tace sul punto nega la realtà.
Ne consegue che si può percepire la totale inutilità di ogni esercizio mentale su sofismi di diritto internazionale: i territori sono stati turchi, inglesi, giordani, israeliani, e con Gaza anche egiziani. E ora?
Mentre i discorsi di principio inondano le accademie, la realtà del sangue dei bambini inonda le nostre menti e i nostri cuori, insieme ad ogni disumana violenza sulle donne, alle decapitazioni, e a quanto di più infame si possa immaginare.
Ora ancor più di ieri non possiamo negare la realtà: che siano correnti di pensiero, studenti, intellettuali, filosofi, attori e comici, esperti televisivi, politici professionali, politologi, vecchi e ragazzi, arcivescovi o rabbini, non fa alcuna differenza.
L’equivoco, con l’inizio della guerra, non ha più diritto di esistere. È tutto chiaro.
Chiunque scriva, parli o prenda posizione in materia, non potrà fare a meno di esaminare queste risultanze certe dopo il 7 ottobre. Altrimenti ogni giudizio, seppur argomentato anche dai più grandi sapienti e dalle loro coscienze, che prescinda da quell’esame, sarà incompleto e parziale e non faciliterà il processo di pace, come la storia ci ha insegnato.
Più chiaro e pulito apparirà l’attacco e più corretta e mirata sarà la difesa, sulla via di un buon negoziato per la pace.
E qui si tratta di principi certi di diritto, non di opinabili valutazioni politiche.

Renzo Ventura, Gerusalemme