CINEMA – Jesse Eisenberg, la Polonia nel cuore e sul passaporto

Jesse Eisenberg, 41 anni, si considera «a tutti gli effetti un newyorkese» Eppure, facendo i calcoli, «a mia famiglia è stata polacca molto più a lungo di quanto sia stata americana» Su questa riflessione sulle proprie radici Eiseberg ha costruito il suo film A Real Pain, storia di due cugini ebrei, molto diversi tra loro, che insieme si recano nella Polonia dei propri avi per fare i conti con le ferite del passato e con la propria identità. «Questo film è una lettera d’amore alla Polonia», ha spiegato Eisenberg.
Lavorando alla pellicola, il regista, che nel film interpreta il protagonista David, ha iniziato a costruire un rapporto con il paese da cui i suoi bisnonni fuggirono a inizio Novecento, riuscendo ad evitare l’orrore della Shoah. «Oltre a quella tragedia della storia, c’è anche la tragedia della scelta della mia famiglia di non avere più alcun legame con la Polonia. Questo mi rattristava molto e mi ha spinto ancor di più a provare a riconnettermi», ha dichiarato Eisenberg. E così il regista e attore americano ha inviato la richiesta per diventare cittadino polacco. Una richiesta accolta e conclusasi con il conferimento ieri presso l’ambasciata polacca a New York della cittadinanza. Cerimonia a cui ha preso parte anche il presidente polacco Andrzej Duda.
In Polonia Eisenberg ha raccontato di aver trovato una inaspettata accoglienza positiva per il suo A Real Pain, vincitore di un Oscar grazie all’interpretazione dell’attore non protagonista Kieran Culkin. «Giravamo il film con una troupe polacca e temevo che i locali mi giudicassero male: ecco l’ennesimo americano che arriva per raccontare la sua storia della Shoah e tutto il resto. Invece è stato esattamente l’opposto. Le persone erano interessate alla storia e al modo in cui avevo intenzione di rappresentare il loro paese. E ho subito spiegato: voglio che sia bello, che sia la cartolina che ho davanti agli occhi, non il quadro desolante di cui ho sentito parlare crescendo»
Il legame con il paese, ha spiegato Eisenberg all’agenzia Jta, si è rafforzato anche grazie al confronto con giovani studiosi del memoriale di Majdanek, il campo di concentramento dove sono girate alcune scene di A Real Pain. «Il nostro rapporto è iniziato con diffidenza», ha ammesso il regista, «e si è concluso con un bellissimo confronto tra identità diverse» Girare ora in quei luoghi ha permesso al regista di raccontare il passato senza forzature, rispettando la realtà odierna dei siti storici. «Non volevo un set d’epoca, ma rappresentare Majdanek com’è ora, un memoriale. Ho provato a emulare quanto davvero si fa a Majdanek, cercare di portare consapevolezza sul lager, sugli orrori che hanno segnato quella terra».
d.r.