VENEZIA – Ricordo di Roberto (Roby) Bassi (1931-2025)

Lo scorso Shabbat è mancato Roberto (Roby) Bassi. Ho il privilegio di ricordarlo qui, sulle pagine del periodico di quell’Unione delle comunità ebraiche di cui è stato per lunghi anni vicepresidente, approfittando di una mia doppia posizione, un po’ parente e un po’ direttore dell’istituzione che ha contribuito a fondare settant’anni fa. Innanzitutto, e prima di tutto siamo “cugini”. Una parentela allargata (in realtà Roby era cugino di mia nonna Bruna), di quelle che si usano nelle comunità ebraiche in Italia. Ci si considera e si è, nei fatti, parenti ad ampio spettro, perché la storia degli ebrei in Italia è così, una grande rete relazionale che consente di considerare quel gruppo umano come omogeneo nei comportamenti e nelle prospettive storiche e religiose. Roby Bassi questo lo sapeva bene, e navigava con destrezza in questo ambiente di minoranza sì, ma aperto al mondo. Dalla sua Venezia guardava oltre, radicato in una tradizione forte. Suo nonno Giuseppe Bassi era stato il Maestro (con la M maiuscola) che aveva traghettato le tradizioni antiche della comunità lagunare nella modernità di un mondo che cambiava rapidamente. Lui, animatore di una confraternita di devozione che vegliava e pregava all’alba, e che si occupava soprattutto dell’insegnamento, aveva accettato di buon grado che suo figlio Gino studiasse giurisprudenza mantenendo la sua passione per la lingua e la letteratura inglese. Sua mamma Lina Ravenna era ferrarese, nipote del rabbino Isacco Pardo di Verona.

Ci siamo ritrovati due anni fa a Ferrara (Roby già era troppo affaticato e non è potuto intervenire) per ricordare queste radici comuni e tra chi veniva da Israele e chi da mezza Italia saremo stati in settanta, ma rappresentavamo numeri molto più consistenti. Ci vedevamo lì anche per seguire le parole che Roberto Bassi aveva scritto nel suo “Scaramucce sul lago Ladoga” (Sellerio, 2004): «Noi, che non abbiamo fortunatamente conosciuto i campi di sterminio, ma che ricordiamo bene i nostri cari che lì hanno concluso la loro esistenza, abbiamo ormai una età avanzata. I fantasmi dei miei zii e dei miei cugini, dei miei compagni di scuola e di giochi, di tanti amici di famiglia, della piccola Sara G., tutti uccisi dai fascisti e dai nazisti, hanno popolato la mia adolescenza e la mia giovinezza, e condizionato tutta la mia vita». Roby è sempre stato fedele all’impegno di ricordare, anche se il suo sguardo di “testimone” era sempre guardingo e a suo modo sarcastico. Ricordava un po’ l’atteggiamento critico che possiamo ritrovare negli aforismi acuti e impietosi di Karl Kraus. Un modo di guardare alla realtà che gli faceva scrivere nel medesimo libro una frase come questa: «Mi sono avvalso solo della mia memoria: sappiamo tutti quanto questa sia fallace. Ho letto di recente un grosso libro sui meccanismi della memoria. Purtroppo, l’ho già dimenticato».

Sopravvissuto alla guerra nei modi rocamboleschi che ha raccontato nel suo libro, Roby Bassi ha trascorso gli anni del dopoguerra tra lo studio (fu tra i più noti e rinomati dermatologi, pioniere nella declinazione psicosomatica), i sogni e progetti di “salita” in Terra d’Israele e la militanza politica svolta sia in campo ebraico sia nella società civile. Socialista convinto, come animatore della FGEI (Federazione dei Giovani Ebrei d’Italia) volle fortemente la fondazione del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, pensato all’epoca – era il 1955 – come sezione italiana dell’esperienza avviata dieci anni prima in Francia con il Centre de Documentation Juive Contemporaine. Del CDEC fu responsabile dal 1955 al 1958. Lo ricorda bene Liliana Picciotto: «Il primo ufficio fu la sua stanzetta di studente, la sua prima scrivania un tavolino sgangherato, il primo ‘scaffale’ il pavimento sotto al letto. Là cominciarono ad affluire i primi libri e i primi documenti raccolti da una rete di giovani collaboratori sparsi in tutta Italia che Roby seppe stimolare alla partecipazione, un metodo inusuale per allora, ma ricco di buoni frutti. Fu attivata l’iniziativa, prima di molte altre, del censimento, con apposite schede, dei partigiani ebrei in Italia. Si voleva dimostrare che non tutti gli ebrei erano andati passivamente verso la loro distruzione, ma molti vi si erano attivamente opposti». E qui scrivo da direttore attuale del CDEC per ringraziare Roby di questa “visione” giovanile che ha dato molti e benefici frutti. Perché oggi si va compiendo quella ricerca che non era solo legata alla raccolta di testimonianze delle persecuzioni, bensì anche e soprattutto veniva intesa come attestato di consapevole militanza politica nel fronte antifascista e antinazista. A breve potremo così studiare sul sito www.resistentiebrei.it le biografie di quelle centinaia di ragazzi e ragazze che proprio Roby Bassi iniziò a individuare, aiutandoci nelle prossime settimane a ricordare in maniera consapevole gli ottant’anni da quel 25 aprile 1945 che fu l’inizio delle nostre libertà.

Gadi Luzzatto Voghera