PURIM – A Torino un minian femminile per la lettura della meghillà

«È emozionante, ed è difficile. E anche un po’ stressante: quando studiavamo insieme mamma – israeliana – mi diceva sempre che tutta la lettura della meghillat dipendeva da me. Che un mio errore sarebbe stato un errore di tutte. Ero molto stressata». Sono le parole con cui Sarah, neppure tredici anni, racconta la sua esperienza: è la più giovane delle dieci donne che a Torino hanno dato vita a una lettura della Meghillat Ester al femminile. «È qualcosa di diverso da quello che viene fatto a Firenze e a Roma – spiega Anna Segre, vicepresidente della Comunità, che molto si è spesa per renderla possibile – : lì la lettura è suddivisa tra tante, per permettere a più donne possibile di partecipare a un’esperienza importante, ma rav Ariel Finzi ci ha spiegato che per rendere la nostra lettura al femminile casher e perché permetta a chi l’ascolterà di “uscire d’obbligo” non potevamo suddividerla. Ognuna quindi canta un capitolo. Siamo dieci e costituiamo un vero e proprio minian di donne». Continua Sarah: «Era parecchio tempo che dicevo a mamma che mi sarebbe piaciuto fare questa esperienza, e ne sono davvero felice. Un’altra cosa che mi è piaciuta tanto è che se qualcuna sbaglia siamo tra amiche: non ci sono problemi, ci si aiuta. All’inizio ero in ansia, ma quando ho visto che non sono l’unica a sbagliare, che nessuna si è stressata, allora mi sono tranquillizzata. Sono sempre tutte gentili». Altrettanto emozionata è Deborah, la cui esperienza è molto diversa: «L’ultima volta che ho letto in ebraico è stato quando ho fatto il bat mitzvah, faccio davvero fatica, anche con la vocalizzazione, figuriamoci così! Volevo davvero far parte di questo gruppo, ho provato ad ascoltare e ripetere e mi sono detta che non era impossibile… anche se ci sono parole che non becco mai! È pazzesco come leggere a casa, da sola, sia diverso dall’essere qui al tempio. Mi tremano le mani, e la voce, ma è bello sentire le voci delle altre donne». Un aiuto importante nella preparazione, già lo scorso anno, è arrivato da Micol Finzi, la figlia del rabbino capo di Torino, che per il suo bat mitzvah aveva imparato tutta la meghillà, e che quest’anno, trovandosi a Torino, ha potuto riascoltare tutte dal vivo. Le lettrici non sono le stesse, qualcuna ha cambiato capitolo, qualcuna ha lasciato e nuove voci si sono aggiunte. Silvia aveva già letto lo scorso anno, ma «trovo sia una cosa bellissima e per me quest’anno con una cosa in più: la lettrice del capitolo che precede quello che leggo io non è mia figlia Mara, ma Sarah, giovanissima, che potrebbe essere mia nipote. Trovo che la presenza di tre generazioni che si alternano nella lettura sia davvero emozionante». È stata proprio Mara a coordinare tutto, a gestire ansie e preoccupazioni, a trovare subentri in caso di rinunce, e a tenere tutte insieme spronando e incoraggiando: «Questo progetto di lettura al femminile suscita pensieri intensi e positivi. È un progetto rigoroso perché tutte si devono impegnare a leggere bene e a sapere bene la melodia, e serve un grande impegno da parte di tutte se no il progetto non funziona. Allo stesso tempo ognuna ci mette il suo, insicurezze, voce, melodia, capacità, è un’occasione unica di studio in chiave pratica. Una sfida che porta con sé delle difficoltà, è vero, ma si trova davvero una propria dimensione, e in qualche modo se ne viene a capo. L’altra cosa bella, su cui siamo tutte concordi, è che c’è un enorme scambio emotivo e di competenze: le lettrici più esperte supportano le meno esperte, che magari conoscono meglio altro. È il gruppo non è composto solo dalle dieci voci che quest’anno hanno cantato la meghillà: ci sono anche quelle che magari hanno rinunciato durante il percorso, chi ha fatto con noi un pezzetto del percorso, è un gruppo unito, ci sono quest’anno tante nuove lettrici ed è davvero un progetto corale. Nessuna di noi si è mai sentita sola». Non è l’unico aspetto che colpisce. Dice Elisa: «La lettura femminile della meghillà è stata un’esperienza profonda e nuova: la connessione più diretta con la storia di Ester, purtroppo di un’attualità sconcertante; la preparazione alla lettura pubblica di un testo religioso; il tempio vissuto per la prima volta dalla tevà. Anche le amicizie, quelle nuove e quelle rinnovate, tra dieci donne diverse per età, origine geografica, osservanza – in armonia a sostenersi l’un l’altra. Tutte siamo Ester e dobbiamo fare i conti con i rischi, ma anche con le forze, che ci derivano dall’essere ebree». Ruth, che ha accompagnato e spronato tutte, ricorda che sono le dieci donne che leggono ad onorare la meghillà, e non il contrario: «Questo percorso è la dimostrazione che siamo tante ad avere voglia e passione per lo studio e per l’impegno, che vogliamo davvero compiere una mitzvah ed esprimerci anche attraverso questo testo. È impossibile non collegare le parole che ci sono nel testo alla situazione che viviamo in questo periodo, siamo tutti prigionieri nel palazzo e tutti facciamo a volte fatica a dire chi siamo e cosa pensiamo veramente. La nostra lettura è dedicata a coloro che sono ancora ostaggi, lo abbiamo deciso insieme e lo vogliamo ribadire. E dire che la bellezza di questo percorso viene moltissimo anche dalla nostra diversità: siamo davvero molto diverse ma abbiamo capito quanto siamo l’una garante dell’altra, dipendiamo tutte le une dalle altre. Quello che io non riesco a fare, lo farà un’altra donna che è qui con me, ci ascoltiamo, siamo unite, e la mia speranza è che non ci fermeremo a Ester. Anche se è quello il testo che i nostri maestri dicono non si smetterà mai di leggere io sono fiduciosa: altre meghillot verrano». E al mattino di martedì al tempio “piccolo” di Torino l’emozione ha fatto tremare le mani di più di una lettrice, ma tutte le voci sono risuonate forti, e chiare. Voci di donne per le donne, grazie a Anna, Jennifer, Danila, Ruth, Elisa, Sarah, Silvia, Ori, Naama e Deborah.
a.t.