ISRAELE – Netanyahu accelera sulle destituzioni, proteste nel paese

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso di portare il 20 marzo in Consiglio dei Ministri la destituzione del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, e di posticipare a domenica quella della procuratrice generale Gali Baharav-Miara. Le due mosse hanno innescato una dura reazione nell’opinione pubblica, con migliaia di manifestanti scesi in piazza prima a Tel Aviv e poi a Gerusalemme, dove la tensione con le forze di sicurezza è sfociata in scontri e arresti.
Baharav-Miara ha avvertito il governo della necessità di rinviare la rimozione di Bar almeno fino alla conclusione delle indagini sullo scandalo Qatargate. Il caso ruota attorno all’accusa che alcuni collaboratori di Netanyahu abbiano ricevuto finanziamenti da intermediari legati al Qatar mentre Israele era in guerra con Hamas. Eli Feldstein, uno dei principali indagati, ha ammesso di aver incassato fondi da un imprenditore israeliano indicato come il collegamento con Doha, pur negando di essere stato consapevole di eventuali legami con il Qatar.
I combattimenti
Nel frattempo, i combattimenti nella Striscia di Gaza sono ripresi per il secondo giorno consecutivo, con l’esercito israeliano impegnato in operazioni mirate contro obiettivi di Hamas. Il gruppo terroristico ha denunciato un attacco contro un complesso delle Nazioni Unite, accusa smentita dai portavoce militari. «Contrariamente a quanto riportato, le Idf non hanno colpito un complesso delle Nazioni Unite a Deir al-Balah», si legge in una nota di Tsahal. «Invitiamo i media ad agire con cautela riguardo a notizie non verificate».
Per Yossi Yehoshua, analista militare di ynet, la ripresa dei combattimenti ha due esiti possibili: nel primo, Hamas cede e accetta un accordo il più ampio e rapido possibile. Nel secondo, il gruppo terroristico non arretra e Tsahal riprende l’offensiva anche via terra, con tutte le conseguenze legate alla mobilitazione dei riservisti e al maggiore peso imposto all’esercito regolare, già in difficoltà a causa della carenza di combattenti.
L’obiettivo israeliano, prosegue Yehoshua, è spingere Hamas «a trattare attraverso una combinazione di pressione militare e isolamento economico». Il blocco dei valichi di frontiera, l’interruzione delle forniture di aiuti e il nuovo sostegno americano potrebbero costringere il gruppo a negoziare prima che la situazione si aggravi ulteriormente. «Tuttavia, Hamas detiene ancora 59 ostaggi, tra vivi e morti, e non vi è alcuna certezza sul loro destino. I prossimi giorni saranno decisivi sia per il conflitto che per le sorti dei prigionieri israeliani», conclude l’analista.