DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 31 marzo 2025
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha delineato ieri, riporta il Corriere della Sera, le condizioni per fermare l’offensiva a Gaza: «esilio per i terroristi di Hamas, controllo israeliano sui 363 chilometri quadrati, migrazione “volontaria” degli oltre due milioni di arabi». Nel suo discorso, prosegue il quotidiano, Netanyahu ha lasciato per ultimo il punto del ritorno degli ostaggi, ribadendo che «la pressione militare sta funzionando». La fiducia nel governo israeliano, scrive il Messaggero, secondo alcuni sondaggi è molto bassa: il 70% non sarebbe contento delle azioni dell’esecutivo. In piazza, sottolinea il Corriere, migliaia di persone hanno chiesto di siglare subito un accordo con Hamas per riportare a casa i 59 ostaggi ancora prigionieri di Hamas. Intanto l’Egitto ha proposto alle parti un cessate il fuoco di 50 giorni in cambio della liberazione di cinque ostaggi.
Del futuro di Gaza Netanyahu si prepara a parlare con il primo ministro ungherese Viktor Orban. Mercoledì 2 aprile il capo del governo israeliano volerà a Budapest per incontrare Orban con cui discuterà del piano per Gaza del presidente Usa Donald Trump. Lo riferiscono Stampa e Corriere, sottolineando come Orban abbia garantito a Netanyahu che il suo paese non eseguirà il mandato d’arresto della Corte penale internazionale a suo carico.
Nella Striscia di Gaza si aggrava la repressione interna di Hamas. Come riporta Repubblica, Oday Nasser Al Rabay, 22 anni, è stato rapito, torturato e ucciso per aver guidato le recenti proteste contro l’organizzazione, durante le quali i manifestanti gridavano «Vogliamo vivere!» e «Via Hamas!». Il suo corpo è stato ritrovato davanti casa con segni di torture e, secondo alcuni testimoni, un messaggio di intimidazione rivolto a chiunque osi criticare il gruppo terrorista. Il funerale di Al Rabay, scrive il Giornale, si è trasformato in un altro momento di protesta.
Vicino Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, sono stati ritrovati undici corpi di soccorritori, tra cui sei operatori della Mezzaluna Rossa palestinese e quattro membri della protezione civile. Lo riferisce il Corriere della Sera, citando la stessa organizzazione. Secondo la ricostruzione, otto giorni fa i mezzi di soccorso sono stati colpiti dall’esercito israeliano, che ha confermato l’incidente, affermando che ambulanze e camion dei pompieri trasportavano terroristi di Hamas e della Jihad islamica.
Per la prima volta da anni, scrive Libero, Beirut sta tentando di riprendere il controllo del sud del Libano, arrestando i responsabili del recente lancio di razzi contro Israele. Una mossa che segna una possibile svolta: la regione a sud del Litani, da tempo zona d’influenza di Hezbollah, torna teatro di iniziative delle Forze armate libanesi. Il gruppo sciita, potente alleato dell’Iran, è ormai da decenni uno stato nello stato, ma oggi appare indebolito, sottolinea Libero. Resta da capire, conclude il quotidiano, quanto durerà questa fragile riaffermazione della sovranità statale e se il Libano sarà davvero in grado di contenere un attore che, finora, ha dettato tempi e modi del conflitto con Israele.
Il presidente Trump ha minacciato sanzioni contro la Russia e bombardamenti sull’Iran se i negoziati su Ucraina e nucleare dovessero fallire, annunciando anche una nuova telefonata con il presidente russo Vladimir Putin. «Sono molto arrabbiato con Putin e lui lo sa. Se io e la Russia non dovessimo arrivare a un accordo per fermare lo spargimento di sangue in Ucraina e se la colpa fosse della Russia, allora applicherò tariffe secondarie sul loro petrolio», ha affermato Trump (Domani).
Il Foglio ripropone una riflessione uscita sul mensile Commentary dell’opinionista Irina Velitskaya, che riflette sul concetto russo di poshlost – una miscela di volgarità compiaciuta, falsa virtù e sentimentalismo ipocrita – e lo applica alla retorica occidentale filo-palestinese. Denuncia la teatralità morale di molti attivisti, in particolare sui social, accusandoli di romanticizzare il conflitto e infantilizzare i palestinesi, ignorando le violenze commesse da Hamas.
Lo scrittore americano Jonathan Safran Foer si è trasferito a Roma per una pausa dalla frenesia americana. In una lunga intervista con Antonio Monda sul Foglio, riflette sulle differenze tra Europa e Stati Uniti, criticando l’inefficienza italiana ma apprezzandone umanità e spiritualità. Condanna il populismo di Trump, ma rifiuta l’esilio politico: «Il dissenso si manifesta senza andarsene. Io lo farò al mio ritorno, scrivendo», afferma lo scrittore, che esprime preoccupazione per la radicalizzazione e il sentimentalismo vuoto, sia a destra che a sinistra. Riguardo agli Usa, Safran Foer dubita che il paese abbia «pienamente gli anticorpi per resistere alla deriva autoritaria».