LA RIFLESSIONE – Di vizi privati, pubbliche virtù e stipendi 

Fatto di cronaca. Di un’insegnante elementare molto valida professionalmente, stimata e apprezzata dai suoi giovani allievi e dalle rispettive famiglie, emerge all’improvviso una vita privata squallida, se non imbarazzante: vende autoscatti compromettenti a un sito equivoco. L’opinione pubblica è divisa: il caso merita solo compassione o giustifica l’adozione di provvedimenti più seri?

L’argomento è oggetto di discussione nel Talmud. Ravà domanda perché gli studiosi siano paragonati alla noce (Shir ha-Shirim 6, 11) e risponde che come la noce, pur essendo talvolta sporca sul guscio è buona all’interno, anche l’attività intellettuale dello studioso non viene intaccata dal suo cattivo comportamento esteriore (Chaghigah 15b). R. Yossef Albo nel Sefer ha-’Iqqarim (parte IV, 26) si interroga perché al re Shaul sia stato revocato il mandato regale dopo aver disobbedito a D. nel corso della guerra contro ‘Amaleq, mentre nessuna sanzione sia stata presa nei confronti del suo successore David a fronte dell “affaire Batsheva’”. Il filosofo spagnolo risponde con la metafora dei due funzionari pubblici: uno ha falsificato un documento, l’altro ha commesso adulterio. Benché il reato del secondo appaia più grave, solo il primo viene rimosso dall’incarico: falsificare un documento tocca infatti il ruolo e l’attività pubblica del funzionario, mentre l’adulterio riguarda solo la sua sfera personale. Allo stesso modo distruggere ‘Amaleq è un precetto che riguarda le prerogative del re in quanto tale, cui Saul ha mancato, mentre la condotta con Batsheva’ non avrebbe avuto ricadute sulla figura pubblica di David. Secondo questa logica, dunque, i “vizi privati” dell’insegnante non sarebbero destinati a condizionare in alcuna misura le sue “pubbliche virtù”.

Domandiamoci a questo punto: è lecito dedurre una Halakhah da testi privi di contenuto legale? Se anche rispondessimo affermativamente Abrabanel, riportando a sua volta le parole di Albo nel proprio commento a 1Shemuel, cap. 15, scrive peraltro che questa è solo un’ipotesi di spiegazione del diverso destino riservato ai due re d’Israel e altri criteri di distinzione sono equamente possibili. Personalmente affronterei il delicato argomento su un piano più profondo. Il Talmud (Bavà Batrà 8b) mette in relazione il versetto: “E coloro che attraggono molti alla giustizia (matzdiqè ha-rabbim) brillano come gli astri in eterno” (Daniel 12, 3) con i maestri di scuola (melammedè tinoqot)! Il campione del singolare accostamento è individuato nella figura di Rav Shemuel bar Shilàt (fine III sec.): questi era talmente devoto ai suoi allievi da non aver visitato neppure il proprio giardino per tredici anni consecutivi! Poche pagine più in là il Talmud elogia i consigli pedagogici che riceveva dal suo maestro Rav, rivoluzionari per l’epoca: età scolare a sei anni e niente classi differenziali. Anzi, i discepoli più brillanti si sarebbero seduti vicino ai più fragili per dar loro sostegno (Bavà Batrà 21a)! Insomma, un docente modello e senza macchia.

Ma ciò che più intriga i commentatori è come venga paragonata alle stelle del cielo una delle categorie più bistrattate, sia sul piano morale che economico: un problema che evidentemente non nasce oggi. Scrive il Ben Ish Chay di Baghdad (Ben Yehoyadà’ ad loc.): “Benché le stelle ci sembrino piccole rispetto al sole, è solo un’apparenza legata all’altezza estrema in cui si trovano. Allo stesso modo il maestro di scuola che insegna i bambini a compitare e perciò gode di scarsa considerazione, ha invece un livello molto alto proprio perché insegna le basi a creature senza peccato”. Il senso del ragionamento è chiaro. L’umile maestro ha una responsabilità di role model persino superiore a quella del re di Israel! Se noi vediamo negli insegnanti dei veri e propri educatori e non dei semplici istruttori, dobbiamo dedurre che una doppia vita è difficilmente compatibile con il mondo della scuola. Specialmente una volta che certi dettagli sono divenuti di dominio pubblico, il soggetto non può più reclamarli come semplici affari personali. 

Concordo che le crociate sono controproducenti: rischiano di provocare più trasgressioni di quante non ne riparino. In prima battuta occorre tatto nell’affrontare la questione: i superiori della diretta interessata dovrebbero convocarla direttamente in modo riservato. C’è una via di recupero? Certamente. Secondo una tradizione, Rav Shemuel bar Shilàt era uno “dei discendenti di Haman che insegnavano Torah a Benè Beràq” (‘Eyn Ya’aqov a Ghittin 57b e Sanhedrin 96b)! Shilàt non era il nome di suo padre; è una sigla formata dalle iniziali del versetto: “ho posto H. dinanzi a me sempre” (Tehillim 16, 8), scelto come motto di una vita trasformata. Rav Shemuel non simboleggia qui solo il “proselita di giustizia” (gher tzèdeq), ma soprattutto il Ba’al Teshuvah! Anche i peggiori criminali possono cambiare: se non loro, in persona dei loro eredi. E questa inversione di rotta, ammesso che sia sincera, merita di essere valorizzata. La tradizione ebraica ripone profonda fiducia nel valore e nel potere della Teshuvah ed è pronta a credere nella rigenerazione della persona. Possiamo riammettere l’insegnante, pertanto, solo dopo che lei, ribadisco, lei abbia dimostrato un cambiamento di vita, sincero e radicale.

Una volta accertato che ciò sia effettivamente avvenuto ci è dato passare nella discussione dal piano etico individuale a quello sociale. In nessun caso pressioni economiche possono essere invocate a giustificazione di comportamenti immorali. Domandiamoci però se gli insegnanti sono degnamente ricompensati per lo sforzo diuturno che compiono. Parlando dei maestri di Torah e degli altri funzionari pubblici di Yerushalaim, Maimonide stabilisce la rispettiva paga e aggiunge che “se non fosse risultata sufficiente si sarebbe provveduto a integrarla, nonostante il rifiuto degli interessati, in base alle necessità loro, delle loro mogli, dei loro figli e dei loro famigliari” (Hilkhot Sheqalim 4, 7). Questa tendenza è discernibile oggi? Una domanda che, specie nel paese dai salari più bassi d’Europa, ha le gambe corte. 

Rav Alberto Somekh

(Nell’immagine in alto: una scena dal film David e Betsabea del 1951, diretto da Henry King)