TORÀ E BOTANICA – Roberto Jona: Kylaim
Questa parola che troviamo nel Deuteronomio (22,9) è tradotta dagli esperti di esegesi biblica come “mescolanza”, in sostanza significa (anche) ibridi. Ma dobbiamo fare, come spesso capita, un passo indietro. Oggi, per noi, il meccanismo dell’impollinazione e l’eventuale formazione di ibridi (o meno) è un fatto così scontato che stentiamo a immaginare che qualcuno potesse ignorarlo, ma non è così. Gregor Mendel, lo scopritore delle “leggi” che prendono da lui il nome, è vissuto nella seconda metà del XIX secolo ed è divenuto famoso impollinando i piselli. In precedenza i concetti di ereditarietà dovevano essere assai vaghi e soprattutto confusi. Non solo, ma il testo biblico ci rivela una metodologia colturale della vite che è talmente lontana dalla attuale pratica viticola da rendere il testo biblico di difficile comprensione. Cerchiamo dunque di chiarire sia quella che appare l’antica tecnica colturale sia la normativa biblica. La Torà vieta di seminare una mescolanza di semi di vite nello stesso vigneto: alla luce dell’attuale tecnologia viticola il divieto appare anzitutto bizzarro.
Prima che i concetti enunciati e sviluppati da Mendel divenissero di dominio comune, la moltiplicazione e la propagazione della vite avveniva sia per seme che per talea (cioè un tralcio fatto radicare), senza un criterio preciso. Nei primi decenni del XX secolo ci fu un importante lavoro di miglioramento genetico e moltiplicazione della vite (oltre che di altre piante ed animali) che portò alla formazione e alla diffusione dell’attuale patrimonio varietale delle viti domestiche (oltre che di altre piante ed animali domestici). Aggiungo, per inciso, che proprio in quei decenni ci fu la grave diffusione di un parassita (la fillossera) che mise in pericolo l’esistenza dell’intera viticoltura. La descrizione di questi eventi ci porterebbe lontano dallo scopo del discorso. Per difendere la vite dal nuovo parassita, fu necessario adottare un cambio di tecnologia nella coltivazione (in vigore ancora oggi), cosicché i divieti e le prescrizioni bibliche divengono in parte di difficile comprensione.
Ma andiamo con ordine. Chi “semina” delle piante vuole moltiplicarle: cioè, partendo da una pianta vuole ottenerne tante che spera siano uguali a quella originale. Come accennato sopra, Mendel chiarì i limiti per veder realizzata questa speranza introducendo il concetto di “incrocio” (e di conseguenza di ibrido), che non è identico ai progenitori. È quindi stupefacente che tanti secoli prima la Torà prescrivesse norme di coltivazione adatte ad evitare la formazione e la comparsa di “incroci” (o ibridi) involontari ed indesiderati. “Non dovrai seminare nella tua vigna semi di varie specie se non vorrai che il prodotto dei semi che avrai seminato ed il prodotto della tua vigna divengano proibiti come se fossero cose consacrate” (Deut. 22,9). È una formulazione piuttosto criptica, soprattutto nella parte della “spiegazione” che non spiega nulla. Perché dalla “mescolanza” di viti dovrebbero nascere piante (probabilmente viti, oppure altro?) con caratteri di sacralità tali da non dover essere consumati? La Torà non dice dalla mescolanza nasceranno piante così scadenti che non potrai consumarne i frutti: al contrario dice nasceranno frutti (aggiungo io: così belli e così buoni) da essere sacri, così da non poter essere consumati (io aggiungo: per rispetto al Creatore). La necessità di spiegazioni dimostra però che il testo è lungi dall’essere chiaro. Qualche altro interprete può fornire spiegazioni diverse, non meno attendibili. Penso che il testo biblico ci appaia così “strano” ‘perché la distinzione tra specie e varietà, che oggi è radicata in profondità nella nostra coscienza, in passato non lo era e soprattutto non era così chiara ed evidente. Se incrocio due varietà di vite, (per restare nell’esempio biblico) il frutto che risulterà dall’incrocio sarà sempre una vite che produce uva. Ma il dubbio che può attraversare il profano inesperto (mi perdonino i lettori esperti per questa ipotesi…“blasfema”) è che il risultato che ottengo sia un frutto “nuovo”, “diverso” da quelli da cui sono partito. Avrei dunque “creato” un frutto, in concorrenza con la Creazione divina. Ecco quindi l’ammonizione contenuta nella Torà a rispettare ciò che il Signore ha creato, senza entrare in una irriguardosa competizione.
Roberto Jona, agronomo