House of David scala le hit ma lascia la bocca amara

«Può una pietra cambiare il corso della storia? Un solo atto di sfida può creare una leggenda?». House of David, l’ultima mega-produzione ispirata alla Bibbia, si apre su questo drammatico interrogativo. E poiché i protagonisti sono Davide e Golia, il finale lo conoscono tutti: la pietra cambia il corso della storia e la sfida diventa leggenda. Eppure la serie, che in otto puntate porta in scena la vicenda, è subito diventata un fenomeno. In streaming da fine febbraio su Amazon, ha scalato a sorpresa la classifica dei tv show più visti fino a raggiungere il secondo posto – scalzando i super eroi di Invincibles e piazzandosi alle spalle di un blockbuster come Reacher.
È l’ultimo exploit della cinematografia cristiana, un mercato in costante espansione in tutto il mondo, che non solo consolida il ruolo del gigante Amazon nel settore ma schiude nuove prospettive per l’intrattenimento a tema religioso.
Dal punto di vista ebraico, le implicazioni non mancano – tanto meno in un periodo in cui gli ebrei e la rinascita dell’antisemitismo dominano le prime pagine in tutto il mondo – e neanche l’attrice Gal Gadot sfugge al fuoco delle polemiche. Da parte ebraica le reazioni a House of David sono state però sporadiche e sottotono. In un’America squassata dalle guerre di cultura anche questo è un segno dei tempi.
A decretare il successo della serie è un mix di ingredienti. Il più evidente è la storia, una delle più appassionanti del testo biblico – il pastore che sconfigge il gigante e diventa re. Quella di Davide è la vittoria di chi sembrava condannato a scomparire. Una traiettoria di riscatto e di speranza in cui il pubblico si immedesima con facilità. «Davide era un guerriero, un poeta, un leader con delle fragilità, un uomo che con tutto il cuore credeva in Dio.
Una figura profondamente umana», spiega a Jewish Insider Jon Gunn che con Jon Erwin ha diretto e prodotto la serie. «La sua ascesa, i fallimenti e la redenzione parlano tutte del peso del potere”.
Conflitti di successo
Tra le fonti di ispirazione Gunn – che con Erwin aveva già realizzato il film religioso Jesus Revolution (2023) – cita Game of Thrones, il fantasy medievale che narra l’epico scontro fra due potenti dinastie e ha conquistato le platee di tutto il mondo. In chiave contemporanea, un rimando è la serie Succession, altro successo strepitoso, nella quale due famiglie lottano per il controllo di un impero mediatico miliardario. I conflitti fra ricchi e potenti sono materiale televisivo per eccellenza e in questo caso la Bibbia aggiunge un elemento di familiarità. Chi non conosce la storia di Davide e Golia?
Familiare non significa però già visto. Da David and Batsheba (1951) con Gregory Peck a King David (1985) con Richard Gere, i film dedicati a Davide non mancano. Il cinema si è però concentrato su Mosé e l’esodo degli ebrei dall’Egitto, molto più spettacolare, con prodotti di grande popolarità. La prima versione de I dieci comandamenti di Cecil B. De Mille risale agli anni del muto (1923) e trent’anni dopo, sempre a firma di De Mille, arriva l’omonimo kolossal sonoro. La platea si allarga ai bambini con il film animato Il Principe d’Egitto (1998), la vicenda diventa un musical a Broadway e nel 2014 il regista Ridley Scott la rilegge in Exodus: God and Kings. Mosé si stampa a caratteri di fuoco nell’immaginario collettivo, la figura di Davide sbiadisce nelle retrovie.
Quasi un fumetto
House of David è un primo tentativo di portare sul piccolo schermo la sua storia. Per adattarla al gusto contemporaneo, i registi spargono a piene mani effetti speciali e scenari mozzafiato. Girata fra il Canada e la Grecia, la serie si dipana fra colline verdeggianti, montagne e imponenti cascate. Sono gli scenari favolosi e fantastici del Signore degli anelli o del fantasy Wheel of time. Distano anni luce dai luoghi della Bibbia ma sono un magnete irresistibile per gli spettatori, soprattutto per i più giovani. L’autenticità, almeno sulla carta, è affidata agli attori.
Un cast internazionale in cui il giovane attore egiziano Michael Iskander interpreta Davide, l’israeliana Ayelet Zurer (Shtisel) è la regina Achinoam, il palestinese Ali Suliman è il re Saul e il bodybuilder inglese Martyn Ford l’imponente Golia. I diversi accenti si intrecciano, spesso con effetti improbabili, mentre i titoli dei capitoli scorrono in ebraico e in inglese e Davide intona i suoi canti in ebraico senza sottotitoli.
L’aspetto più notevole sono i costumi, gli ambienti e i rituali realizzati con la consulenza un’esperta di ebraismo, Jenn Levine. I dettagli, osserva Mira Fox su Forward, «hanno spesso radice nella tradizione ebraica extra-biblica. L’idea che Davide fosse un figlio illegittimo, una trama che ha parecchio spazio nella serie, deriva da un midrash». Così, le origini di Golia sono spiegate facendo riferimento ai mitici giganti, i Nephilim che un tempo popolavano la terra e sono menzionati nella Genesi. Il mistero è perché Davide, nella tradizione rosso di capelli, nella serie diventi moro e con la pelle olivastra ma le ragioni del casting sono insondabili. Malgrado tanta attenzione ai dettagli, la serie spesso rasenta il fumetto.
Tra discussioni e controversie
Quel che è peggio, il mondo ebraico risulta esotico, straniero, distante. In altre parole, House of David non è un’arma contro il pregiudizio o la diffidenza. A ben guardare, gli ebrei c’entrano fino a un certo punto. Questo è prima di tutto un messaggio di fede, un’esortazione religiosa, una lezione morale in cui Davide e Golia sono pretesti più che protagonisti. Che la serie scali le classifiche mentre tanto si discute di ebrei e rinascente antisemitismo e le controversie accompagnino perfino Gal Gadot, prima israeliana a ottenere una stella nella Hollywood Walk of Fame, lascia l’amaro in bocca. Come se alla fine il soggetto non fosse lo stesso, come se il filo della Storia non saldasse quel passato al presente.
Daniela Gross