MAESTRI – Rav Giuseppe Momigliano: Shabbat Hagadol
Lo shabbat che precede la festa di Pesach, quest’anno è proprio la vigilia, è chiamato Shabbat Hagadol. È un nome che sembrerebbe facile da interpretare – tutti sanno che “gadol” significa “grande” – invece le cose non sono così semplici; può significare “una grande shabbat”, in questo caso dobbiamo trascurare la difficoltà lessicale per cui il sostantivo – shabbat – che è femminile sarebbe affiancato all’aggettivo gadol che è maschile; rimane da capire perché sia definito grande, forse semplicemente la prossimità di questo Shabbat all’evento dell’uscita dall’Egitto, forse questo fatto è già sufficiente per attribuirgli la distinzione di una particolare importanza, uno shabbat decisamente grande. Altri interpretano shabbat hagadol come “shabbat del grande” e propongono diverse spiegazioni su chi o che cosa sia tanto grande da aver ispirato il nome di questo shabbat. Nello Shulchan Aruch (Orach Haim 430), il più importante codice delle leggi ebraiche, si spiega che il nome shabbat hagadol, nel senso di sabato di grande evento, si riferisce al fatto straordinario, avvenuto in un giorno di sabato al tempo dell’attesa dell’uscita dall’Egitto, il dieci del mese di Nissan, nella Torah indicato come “primo mese”; in quel giorno i figli d’Israele avevano l’ordine di prendere un agnello, tenerlo pronto fino alla sera del 14 dello stesso mese, allorquando dovevano sacrificarlo al Signore e segnare con il sangue le porte delle abitazioni. Per il popolo ebraico significava tramutare l’animale oggetto di idolatria nell’antico Egitto in un’offerta dedicata al Signore. Il gesto compiuto da ogni famiglia ebraica costituiva quindi per gli egiziani una clamorosa dissacrazione. Gli ebrei si aspettavano e temevano una durissima reazione da parte degli egiziani e il midrash racconta che effettivamente i sudditi del faraone furono terribilmente sconvolti dal gesto, tuttavia, a causa del terrore che già avevano suscitato le precedenti piaghe, non ebbero il coraggio di agire contro gli ebrei e questo è ricordato come il grande evento da cui può essere derivato il nome shabbat hagadol.
Solitamente lo shabbat hagadol è caratterizzato da ampie e dettagliate spiegazioni che ogni rav rivolge alla propria comunità per richiamare il significato di Pesach e le numerose norme specifiche della festa, specialmente quelle sulla proibizione di cibi lievitati, chametz, e sulla preparazione della cucina kasher per Pesach; da questa tradizionale accurata esposizione rabbinica di grandi e importanti insegnamenti deriva un’altra spiegazione del nome shabbat hagadol. Quest’anno però, poiché lo shabbat speciale giunge alla vigilia della festa, le istruzioni necessarie sono state anticipate e ogni cosa sarà già pronta, quindi conviene orientarsi verso un’altra spiegazione del nome di questo shabbat. Desidero richiamare quella che forse maggiormente definisce questo shabbat come premessa e augurio a che la festa di Pesach e specialmente lo svolgimento del Seder, possano entrare veramente nel cuore di ogni ebreo. Secondo quest’altra spiegazione il nome si ricollega alla haftarà, la lettura dei profeti per questo shabbat, tratta dal brano del profeta Malachì che, nei passi conclusivi (3,23-24), preannuncia il ritorno del profeta Elia «prima che venga il giorno del Signore grande e terribile – gadol venorà»; il nome shabbat ha-gadol potrebbe allora derivare dal riferimento a questo «grande giorno» di cui parla il profeta, nel quale si attende il ritorno del profeta Elia, non più nell’aspetto severo quale appare nella narrazione biblica ma in quello benevolo, pacificatore, con il compito di recare armonia nelle famiglie come preparazione al giorno in cui si manifesterà nella sua pienezza l’opera di giustizia e la redenzione del Signore.
Ma quale sarà più in particolare secondo Malachì il ruolo del profeta Elia? Troviamo nei commentatori diverse interpretazioni dell’espressione «veheshiv lev avot al banim velev banim al avotam». Rashì spiega che il profeta Elia, nel riprendere la sua opera benefica per il popolo ebraico, farà in modo che proprio i figli riusciranno a riavvicinare a D.O i loro padri che si sono allontanati e in modo analogo i padri troveranno le parole e i gesti per ricondurre verso il Signore i cuori dei figli.
Diversa è l’interpretazione di Radak, (Rabbi David Kimhi) che scorge nelle parole del profeta Malachì l’annuncio del tempo in cui il profeta Elia riporterà congiuntamente verso il Signore i sentimenti di entrambe le generazioni, padri e figli, giovani e anziani. Un’interpretazione ancora diversa ci viene da Rav Eliezer da Beaugency (esegeta biblico del 12° sec.) secondo il quale grazie all’opera del profeta Elia i padri torneranno a rivolgersi ai figli, riprenderanno a svolgere il loro compito di parlare, di insegnare e – si può aggiungere – di essere di esempio adeguato mentre i figli torneranno a rivolgere domande ai loro genitori, nuovamente li ricercheranno per chiedere e per imparare. Queste diverse spiegazioni del compito che attendiamo dal profeta Elia, nel tempo che stabilirà il Signore, ci dicono forse quanto ci auguriamo di scorgere molto presto, nello svolgimento delle ormai vicinissime sere del Seder di Pesach, in cui pure aspettiamo di accogliere il profeta Elia; in queste sere straordinarie che ci coinvolgono intensamente, con cerimonie e preghiere, con lo studio del midrash e con le domande dei bambini, con i canti e con i cibi, con emozioni che si rinnovano e ricordi che riaffiorano, ci auguriamo che si aprano a D.O i nostri cuori e le nostre menti, che si riuniscano in legami condivisi tra l’una e l’altra generazione, che preparino il percorso del Mashiach che rechi pace a Israele e al mondo.
Rav Giuseppe Momigliano