MUSICA – Francesco Lotoro: Un violino gitano a Buchenwald

Era il dicembre del 1938 e quell’inverno a Buchenwald fu particolarmente rigido; 11.000 deportati lasciati appositamente con indumenti leggeri sulla Appellplatz stavano provando da ben quattro ore il Buchewalder-Lagerlied scritto dal compositore e cabarettista ebreo Hermann Leopoldi su testo del librettista di Franz Lehár ossia Fritz Löhner-Beda (Fritz morirà nella fabbrica della Buna di Auschwitz III nel dicembre 1942, bastonato selvaggiamente da un vigilante sino a provocargli la morte).
Il comandante del lager, tenente colonnello delle SS Arthur Rödl, a detta dei suoi stessi commilitoni un individuo crudele, alcolizzato e di basso quoziente intellettivo (fu bocciato diverse volte agli esami per l’avanzamento di grado) che si divertiva a far legare a un palo e frustare sino al mattino i deportati al ritmo dell’orchestra del lager costretta a suonare tutta la notte, indisse un concorso per l’inno del lager con tanto di premio in denaro; vinse Leopoldi con il Buchewalder-Lagerlied ma il Kapo Fritz Grübau dichiarò a Rödl che l’inno lo aveva scritto lui stesso, così intascò i Reichsmark del premio.
Vlastimil Louda, direttore dell’orchestra del lager che scriveva clandestinamente le proprie opere su carta igienica, ricordò dopo la Guerra che Rödl, nella sua piccolezza mentale, non si avvide quanto fosse rivoluzionario il Buchewalder-Lagerlied poiché il ritornello recitava: «E qualunque sia il nostro futuro/vogliamo comunque dire sì alla vita/perché arriverà il giorno/in cui saremo liberi!».
Anche a Theresienstadt la censura non si avvide che nel finale dell’operina Brundibár l’autore Hans Krása lasciò profeticamente cantare in lingua ceca ai ragazzi che “Brundibár è battuto, il Regno è distrutto” allorché “Regno” in tedesco si dice proprio “Reich”; per la cronaca, dopo aver combinato a Buchenwald disastri inenarrabili persino per l’amministrazione del Reich, l’ex comandante Rödl fu mandato a combattere in Ucraina e nell’aprile 1945, realizzata l’ineluttabile sconfitta, si autodeflagrò stringendo tra le mani una bomba a mano e tirando la levetta.
Lo storico tedesco Eugen Kogon (deportato a Buchenwald e sopravvissuto) scrisse che una notte a Buchenwald il suono di un violino gitano improvvisamente tracimò da un block.
Violino e violinista erano fisicamente nel lager ma quella musica aveva un proprio spazio-tempo e arrivava dalle lande della Rutenia, da Vienna o Budapest, dalla piazza del Rathaus, da luoghi e tempi migliori; le guardie rimasero mute, impassibili, nessuna di loro osò fermare quel violino gitano.
L’orologiaio ebreo polacco Aaron Liebeskind fu testimone dell’uccisione di sua moglie Edith e di suo figlio allorquando, quale membro del Sonderkommando di Treblinka II, dovette raccogliere i loro cadaveri dalla camera di gasazione per trasportarli nel forno di cremazione; Aaron creò nella sua mente una ninnananna in lingua yiddish su una popolare trenodia della Polonia orientale dopo aver chiesto al caposquadra del Krematorium il permesso di rimanere durante la notte a vegliare sui resti del figlio.Liebeskind fuggì da Treblinka ma fu nuovamente catturato e trasferito a Sachsenhausen dove entrò in qualità di basso profondonelle fila del coro maschile clandestino del direttore ebreo polacco Rosebery D’Arguto; grazie a D’Arguto, Aaron strinse amicizia con il musicista polacco dalla memoria prodigiosa Aleksander Kulisiewicz (foto) capace di parlare otto lingue e memorizzare 716 canzoni.
Aaron riferì a Kulisiewicz di quanto accaduto a Treblinka e gli cantò la ninnananna in yiddish creata nel Krematorium; Kulisiewicz la memorizzò e la tradusse in lingua polacca.
Nel 1942 Aaron fu trasferito a Birkenau, dove fu ucciso nel 1943.
Dopo la guerra, Kulisiewicz riprese il canto di Aaron, lo intitolòKołysanka Dla Synka W Krematorium (Ninna nanna per un figlio nel crematorio) e lo eseguì spesso nei suoi concerti.
Una trenodia attraversa centinaia di chilometri da Treblinka a Sachsenhausen agganciata al cuore e al cervello di un uomo letteralmente sbriciolato nel proprio dolore, plana nella bolgia di un lager nel quale la guarnigione tedesca arrivò a fucilare sino a 1.000 soldati sovietici al giorno e, grazie a un altro ebreo musicista, approda nel porto sicuro del cervello di Kulisiewicz per essere eseguita in concerto dopo la guerra nelle piazze di Leningrado e Berlino Est.
La vita è qualcosa di molto più complesso di quanto possiamo immaginare, la vita fisica è reale e le vite astrali e dello spirito sono persino più reali di quella fisica; la vita musicale, il pulsare cardiaco di una melodia batte al fotofinish tutte le vite precedenti.
Non salvò la vita di nessuno, la musica; ma salva noi in quel momento di presente perenne che si schiude quando cantiamo o suoniamo musiche provenienti dai più improbabili luoghi terrestri.
Francesco Lotoro