PROTAGONISTI – Rav Epstein: l’etica non è di destra né di sinistra, è un valore ebraico e basta

Scrivo queste righe per lasciare traccia di un dialogo pubblico tanto delicato quanto urgente, avvenuto lunedì 21 gennaio su iniziativa delle associazioni Italia-Israele di Milano e Amici dell’Università ebraica di Gerusalemme. Dialogo nel quale si sono confrontati alcuni autorevoli esponenti del mondo ebraico italiano (rav Michael Ascoli, rav Gadi Piperno e Ruben Della Rocca) con il rabbino-filosofo israeliano professor Daniel Epstein, classe 1944, con studi accademici a Strasburgo e alla Mirer Yeshiva di Gerusalemme, voce autorevole della grande tradizione di pensiero ebraico in Francia, raffinato insegnante e traduttore, interprete e continuatore della filosofia morale di Emmanuel Levinas. Oggetto della conversazione: la situazione di Israele in Medioriente, la guerra a Gaza, noi e il futuro.
Dopo averlo introdotto agli oltre centocinquanta connessi in diretta (fruitori della registrazione a parte), rav Ascoli ha posto “la domanda” che brucia in questi giorni nella mente e nel cuore di molti: cosa l’halakhà ha da dire sulla questione-ostaggi: essa sarebbe inequivoca se si trattasse di un riscatto monetario, ma se il prezzo è il rilascio di assassini? Un vero filosofo non aggira il problema, ma cerca la prospettiva che crede migliore e più adeguata per affrontarlo. Così ha fatto rav Epstein: «Occorre mettere la questione in un quadro più ampio e chiedersi come si è arrivati a questo punto, nel quale sembra che ogni decisione non sia buona. Tuttavia la mitzwà di piquach nefesh [la salvazione di vite umane] resta il criterio fondamentale e non può essere rimandata. Si tratta di un principio etico, prima che di una convenienza politica. ‘Am Israel è da sempre unito non dal pensiero politico ma dal pensiero etico. La storia di Mosè salvato dalla figlia di Faraone insegna un primato dell’etica, di portata universale. Questo è il quadro generale che illumina i particolari. Tale criterio si applica anche alla guerra in corso (seppur in tregua) ed è nostro dovere guardare anche a quel che accade in Gaza. Sebbene si sia trattato di una guerra necessaria, occorre ora chiedersi a quale scopo (e fino a quali costi) possiamo (o dovremmo) continuare a combattere. Non tutti a Gaza sono colpevoli». Rav Epstein allude al tema, eticamente cruciale, dell’esistenza (o meno) di colpe collettive, tema, se posso chiosare, affrontato a suo tempo da Primo Levi – che si rifiutò di addossare le responsabilità della Shoah indistintamente a tutto il popolo tedesco – ma anche dai profeti. Proprio a Geremia 9,22-23, citato dalla Guida dei perplessi di Maimonide (III, cap.54), rav Epstein affida il messaggio di quest’ora storica: «Così dice il Signore: non si vanti il sapiente per la sua sapienza, non si vanti il forte per la sua forza, non si vanti il ricco per la sua ricchezza; chi si vanta, lo faccia solo per il fatto di comprenderMi e conoscerMi». ConoscerLo è possibile soltanto attraverso lo studio della Torà scritta e orale. Si impari allora dai meshalim, gli esempi biblici, e i midrashim, sulla pietà divina verso Hagar e il bambino Ishmael, una pietà che non si curò del fatto che, da adulto, Ishmael potesse diventare un nemico di Israele. «Dobbiamo vedere le persone per quel che sono ora – afferma l’erede di Levinas – non per quel che immaginiamo o temiamo che possano diventare in futuro. Perciò dobbiamo avere pietà dei bambini di Gaza ora. E se non vedo questa pietà, alzo la mia voce, anche se sono in minoranza, e protesto, e mi oppongo, per rispetto alla mia coscienza etica e religiosa».
Rav Epstein conosce le critiche a cui si espone: dopo il 7 ottobre, quella morale non può più essere applicata… Al contrario, dice il Rav parlando in un ebraico dal leggero accento francofono: proprio dopo il 7 ottobre occorre applicare quella morale che è l’essenza del giudaismo. E cita: al proselito Hillel sintetizzò tutta la Torà in una mitzwà non connessa alla qedushà ma all’etica: non fare agli altri quel che non vuoi che gli altri facciano a te, a voi! «La Torà paragona la guerra a un fuoco, che si espande come tutti i fuochi: il mio compito come rabbino e come filosofo è fare il pompiere, non l’incendiario». Ma può un uomo di Torà, incalza rav Ascoli, scendere in piazza, protestare, aumentare le divisioni politiche… Risponde rav Epstein: «Devo farlo, perché il valore dell’uomo è superiore al valore della terra; oggi si sta santificando la terra più degli esseri umani». In passato questo rav si era spinto a paragonare il culto della terra al culto di moloch, e sappiamo quanto forti siano le risonanze di questa immagine dell’idolatria nella tradizione rabbinica; ed è chiaro che allude a quanti stanno pensando di rioccupare Gaza e annetterla a Israele. «Se in un’emergenza come questa la Torà non ha nulla da dire, qual è il suo valore per noi? Ecco perché non sto in silenzio. Difendere Israele può significare anche difenderlo da se stesso». Sono parole dure, che non si sentono in giro, che irritano persino molti. Ma rav Epstein crede che l’etica non sia un valore di sinistra o di destra, è un valore ebraico e basta. Già il Talmud si lamenta: “Guai a me se parlo e guai a me se taccio!”, e ricorda che l’antisemitismo che ci circonda non dipende né da quello che diciamo né da quel che non diciamo. Certo, la legittimità politica di Israele va pienamente difesa; ma non tutte le posizioni politiche in campo per difenderla sono uguali o moralmente accettabili.
All’obiezione, poi, che la guerra a Gaza sta cambiando il Medioriente (Libano, Siria…) e che i nemici di Israele non usano certo ricambiare le nostre attenzioni etiche, non conoscono freni morali, non ci trattano allo stesso modo… rav Epstein ha una risposta tutta levinasiana: «L’etica non è mai simmetrica. Inoltre i politici non stanno facendo quel che dovrebbero fare: offrire una soluzione politica a quest’emergenza. Una guerra senza fine non ha senso e distrugge l’anima di chi la combatte. La soluzione va cercata nel solco delle parole di Zaccaria 4,6: “Non con la prodezza e non con la forza, ma con il Mio spirito, dice Il Signore tzevaot”». Ecco articolati i dilemmi etico-politici, le lacerazioni interiori e le divisioni pubbliche di Israele e della diaspora ebraica, i timori e le speranze, le frustrazioni e le aspettative. Silenziarli non fa bene a nessuno.
Massimo Giuliani