SOCIAL MEDIA – Quando l’antisemitismo attacca le ricette

In un periodo in cui online tutto ciò che ha a che fare col cibo sembra voler rifuggire ogni conflitto per rifugiarsi nell’estetica e nella neutralità, alcuni influencer del mondo “Jewish food” si trovano davanti a una scelta difficile: tacere la propria identità o rivendicarla anche a costo di perdere follower e attirare ostilità? Anna Rahmanan, su Tablet Magazine, ha raccontato le vicende di alcuni content creator che, dopo il 7 ottobre e dopo il conseguente incremento dell’antisemitismo online, sono stati costretti a interrogarsi sull’essere ebrei in pubblico anche mentre si impasta la challah o si prepara lo schnitzel. Il cibo da linguaggio universale e inclusivo si è caricato di una nuova valenza, diventando terreno di espressione politica o spazio per la Memoria e comunque sempre bersaglio di polemiche. Sivan Kobi, seguitissima su Instagram con il suo profilo “Sivan’s Kitchen”, non ha dubbi: «Consistenza e autenticità mi hanno portato dove sono». E dopo gli attacchi in Israele ha sentito il bisogno di mostrarsi ancora più per quella che è. Una qualsiasi delle sue ricette può scatenare commenti antisemiti, ma ha scelto di non arretrare, notando al contrario un sorprendente aumento dell’engagement, come se la trasparenza sulla propria identità avesse creato uno spazio più vero, sebbene più esposto. Neppure Jake Cohen, autore e creator da oltre un milione di follower, ha mai nascosto la sua appartenenza: nei suoi video cucina con addosso un Magen David ben visibile, rivendicando il suo considerare il cibo come «un rituale che rafforza l’identità, non solo un piatto da servire». Parlare apertamente di ebraicità non è secondo lui una provocazione bensì un atto di radicamento, un modo per non cedere all’invisibilità da cui molti sono tentati. Non tutti hanno reagito allo stesso modo: Zachary Neman, giovane e brillante chef noto come “cheffinwithzach”, ha preferito un tono prudente e ha scelto di non enfatizzare le proprie origini. Di fronte a commenti razzisti non ha esitato a rispondere con fermezza, ricordando anche che ridurre l’identità ebraica a uno stereotipo bianco occidentale è, oltre che storicamente impreciso, molto riduttivo. Una posizione intermedia è quella tenuta da Ruhama Shitrit, israeliana trapiantata a Boston il cui profilo culinario ha subito un calo significativo di follower dopo un post in cui esprimeva solidarietà al suo paese. «Questa sono io, e non ho paura di mostrare la mia identità», ha scritto. Nonostante le accuse di appropriazione culturale dovute alle sue ricette mediorientali ha deciso di andare avanti, di non lasciarsi zittire, e il suo caso è la dimostrazione di quanto i confini tra cultura, cucina e politica siano ormai permeabili, e infuocati.