DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 7 maggio 2025
Il presidente Usa Donald Trump ha annunciato lo stop ai bombardamenti americani contro gli Huthi, dichiarando che il gruppo yemenita ha accettato di cessare gli attacchi alle rotte marittime mediorientali. L’intesa, mediata dall’Oman, non riguarda però gli attacchi del movimento sostenuto dall’Iran contro Israele, che proseguiranno. Gerusalemme, non informata in anticipo da Washington, ha espresso sorpresa per l’accordo, riporta il Corriere della Sera. L’annuncio di Trump arriva dopo un’intensa offensiva israeliana sullo Yemen, coordinata con gli Usa e culminata con l’attacco all’aeroporto di Sana’a, quasi completamente distrutto, spiega Repubblica. Il ministro della Difesa Katz l’ha definito «un segnale alla piovra iraniana, che ha la responsabilità per gli assalti lanciati dallo Yemen contro il nostro paese».
Oltre alla tregua con gli Huthi, Trump ha parlato ieri di un imminente «annuncio molto, molto importante» prima del suo viaggio in Medio Oriente della prossima settimana, senza fornire ulteriori dettagli. Il Corriere della Sera ipotizza: l’annuncio potrebbe riguardare Gaza, l’Iran o l’espansione degli Accordi di Abramo. Il viaggio del presidente Usa, spiega il Sole 24 Ore, mira a consolidare investimenti e vendite militari con Arabia Saudita, Qatar ed Emirati. Trump potrebbe anche fare visita a Israele. Intanto, il suo inviato Steve Witkoff lavora su più fronti: tregua con gli Huthi, colloqui con l’Iran sul nucleare e un possibile accordo per il rilascio dei 59 ostaggi israeliani ancora a Gaza. Oggi Witkoff vedrà a Washington Ron Dermer, definito da Repubblica il braccio destro del primo ministro Benjamin Netanyahu per parlare dei negoziati su Gaza.
Riguardo alla tregua, il governo Netanyahu, scrivono Repubblica e Giornale, ha annunciato che se non dovesse arrivare entro il 16 maggio – data in cui Trump concluderà la sua missione in Medio Oriente – lancerà un’ampia offensiva su Gaza, occupandone ampi territori. Gian Micalessin (Giornale) riporta che l’operazione trova un crescente dissenso interno in Israele. I generali Eyal Zamir e Nitzan Alon temono che l’azione comprometta le vite degli ostaggi, la legalità internazionale e la credibilità dell’esercito, sottolinea Micalessin. Aumentano anche le tensioni tra vertici militari e governo, mentre i riservisti richiamati lamentano gravi disagi economici e psicologici, aggiunge Repubblica. Al quotidiano il colonnello in pensione Eran Duvdevani spiega che molti militari evitano il richiamo adottando la formula del «rifiuto grigio» per non incorrere in sanzioni legali: indicano motivi personali – come problemi familiari, economici, di salute o lavorativi – per posticipare o evitare la mobilitazione.
«Netanyahu è un disastro però su Gaza e Iran ha ragione. Salvare gli ostaggi non è il primo obiettivo. Semmai un dilemma morale, politico e militare», dichiara lo storico israeliano Benny Morris a La Stampa. Morris dubita della fattibilità di un’occupazione di Gaza, vista l’opposizione interna e le difficoltà militari, e considera l’operazione «Carri di Gedeone» più una strategia negoziale che un progetto realistico.
La Stampa parla di imbarazzo politico per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni «di fronte all’annuncio dell’occupazione totale di Gaza da parte di Netanyahu». Francia, Germania e Commissione europea hanno esplicitato la loro contrarietà, aggiunge il Sole 24 Ore. Meloni dovrebbe intervenire sull’argomento in un’audizione prevista per oggi in parlamento. L’opposizione parla di «silenzio imbarazzante» – tra gli altri Giuseppe Provenzano, responsabile Esteri del Pd, intervistato da Repubblica. Secondo quanto riportato da Foglio e Giornale, Meloni si atterrà alla linea del ministro degli Esteri Antonio Tajani: sostegno al piano egiziano per la ricostruzione di Gaza e contrarietà allo sfollamento forzato dei palestinesi. Sul riconoscimento di uno stato di Palestina, invece, Meloni resta fredda, in disaccordo con la mossa francese, scrive il Foglio.
Elena Loewenthal (Stampa) riflette sull’angoscia di essere ebrei in Diaspora oggi, tra pressioni pubbliche, accuse automatiche e difficoltà a esprimere la complessità del conflitto israelo-palestinese. Il dibattito – osserva – si è trasformato in una richiesta implicita di abiura: «Davide, accusati», pena essere identificati con l’oppressore. Ma la realtà è intricata e dolorosa, e per un ebreo – scrive – è possibile provare compassione per Gaza senza rinnegare il legame profondo con Israele. Sulle stesse pagine, Mattia Feltri, a partire dalle parole di Liliana Segre e Anna Foa sul conflitto a Gaza e Israele, si chiede perché la questione sia «squassante al punto da imporci una barricata o l’altra, senza poter cedere di un centimetro?». Sullo stesso tema interviene Goffredo Buccini sul Corriere, definendo una «tragedia morale» la guerra tra Israele e Hamas, in cui la battaglia «è anche fatta di parole, propaganda e manipolazioni simboliche». Richiamando le parole di Segre, Buccini denuncia la «trappola per i due popoli» costruita sull’odio e critica la «sproporzione delle azioni israeliane a Gaza».
Delle otto donne parte del governo tedesco guidato dal cancelliere Friedrich Merz – che ieri ha ottenuto la fiducia solo a fatica – , c’è una storica novità, sottolinea il Corriere: la ministra dell’Istruzione, Karin Prien, 59 anni, dell’ala «progressista» della Cdu, è la prima ministra ebrea dopo la Shoah. Nata Karin Kraus ad Amsterdam, da una famiglia di ebrei fuggiti dai nazisti negli anni Trenta, Prien è un’avvocata, esperta di diritto fallimentare, cresciuta all’ombra del merkeliano Armin Laschet.
Nel 1938 Virginia Della Seta fu espulsa a Roma dalla sua scuola, allora intitolata ad Alberto Cadlolo, perché ebrea. 86 anni dopo, racconta il Quotidiano nazionale, Della Seta è tornata tra quei banchi – ora parte dell’istituto comprensivo Virgilio – accolta dagli alunni di oggi.
Sul Giornale, Giovanni Sallusti denuncia il «silenzio della sinistra intellettuale e dell’industria dell’antifascismo» di fronte al caso del boicottaggio anti-israeliano a Napoli, dove un ristorante ha rifiutato clienti israeliani e alcuni locali espongono adesivi con la scritta «Zionists not welcome». Sul Foglio, Salvatore Merlo ironizza su questa ondata di «ristorazione impegnata» e lancia una provocatoria moratoria: «Servite e state zitti».