MAESTRI – Rav Alberto Somekh: L’unione fa il segreto

La vigilia di Yom Kippur gli anziani del Bet Din consegnavano il Kohen Gadol agli anziani del sacerdozio che lo istruivano sul modo di presentare l’incenso, compito che esigeva grande abilità. Lo facevano salire nella stanza destinata alla famiglia di Avtinas, incaricata della preparazione dell’incenso e lo facevano giurare: «Signor mio Kohen Gadol, in qualità di rappresentanti del Bet Din noi ti scongiuriamo per Quegli che posò il Suo Nome su questo Tempio che tu non cambi nulla di tutte le prescrizioni che ti abbiamo insegnato». Egli si congedava e piangeva perché sospettavano di lui ed essi pure si congedavano e piangevano perché forse il loro sospetto era infondato. Lo scongiuravano di eseguire la presentazione dell’incenso secondo la procedura seguita dai Farisei anziché dei Sadducei. Era necessario assicurarsi a priori che questo avvenisse perché nessuno era presente quando il Kohen Gadol compiva questo atto nel Qodesh ha-Qodashim e dunque non poteva essere controllato (Mishnah Yomà 1, 5).
Era tutto cominciato molti anni addietro, dopo che Nadav e Avihù, figli del primo Kohen Gadol Aharon, erano morti tragicamente per aver offerto dell’incenso non comandato il giorno stesso dell’inaugurazione del Mishkan. La Torah avrebbe dato le sue istruzioni sulla ‘Avodat Yom ha-Kippurim acharè mot shenè benè Aharon (“subito dopo la morte dei due figli di Aharon” – Wayqrà 16, 1). La punizione dei due Giusti è di per sé inspiegabile. I testi di Qabbalah la inseriscono nel contesto della trasgressione di Adamo ed Eva, che aveva avuto l’effetto di allontanare la Shekhinah dal mondo. Con l’uscita dall’Egitto e il dono della Torah sul Monte Sinai la Shekhinah fu ripristinata, ma il vitello d’oro provocò un nuovo allontanamento. Il popolo aveva dimostrato di non essere in grado di sostenere con il proprio corpo la Rivelazione che era così elevata spiritualmente. Si rese necessario costruire il Mishkan, che avrebbe avuto la funzione di riportare ancora una volta la Shekhinah sulla terra, questa volta in forma terrena. Aharon offrì un vitello e sembrava tutto espiato. Ma la morte di Nadav e Avihù proprio nel giorno dell’inaugurazione mostrò che c’era ancora dell’incompletezza da correggere. In che senso?
Il Kohen Gadol da solo avrebbe dovuto rappresentare l’Unità di Israele davanti al S.B. Il fatto che Nadav e Avihù abbiano scelto di entrare dove non avrebbero dovuto e di offrire autonomamente l’incenso significa che non si sentivano rappresentati dal loro padre. In altre parole, l’ideale dell’Unità non era ancora stato raggiunto e il mondo attendeva ancora la sua completezza. I due fratelli non trasgredirono “in proprio”. Semplicemente riflettevano la mancanza dell’Unità di cui ancora soffriva Israele. L’inaugurazione del Mishkan una tantum non era bastata. La conseguenza del tragico evento fu l’istituzione di un giorno all’anno in cui quell’inaugurazione si riattualizzava. Durante Yom Kippur è scritto che «nessun individuo potrà trovarsi nella Tenda della Radunanza (accanto al Kohen Gadol) dal momento in cui entrava nel Qodesh ha-Qodashim per l’espiazione fino a quando sarebbe uscito» (Wayqrà 16, 17). Perché questa regola è scritta nella Torah solo a proposito di Yom Kippur? Perché esso è stato istituito per recuperare l’Unità perduta delle persone, che devono abituarsi a un’unica rappresentanza. Chi fosse entrato nel Qodesh ha-Qodashim in quei momenti avrebbe danneggiato non solo se stesso, ma tutto Israele: avrebbe infatti dimostrato che il Kohen Gadol non rappresentava tutti. Il versetto che dice: we-‘ammekh, kullàm tzaddiqim “e il tuo popolo sono tutti Giusti” (Yesha’yahu 60, 21) può essere letto anche: we-‘ammekh kullàm, tzaddiqim “e (quando) il tuo popolo sono tutti (uniti, allora) sono Giusti”. La Shekhinah risiede infatti nell’Unità di Israele e solo ripristinando questa Unità la Shekhinah, allontanatasi con la Prima Trasgressione, tornerà a dimorare nel mondo.
Segreto, pianto e unità formano un trinomio pressoché inscindibile in tante culture. Il cristianesimo è di fatto un politeismo che si sforza di passare per monoteista. A somiglianza dell’assetto celeste sono le sue procedure terrene. L’elezione del pontefice avviene a cura di un gruppo di notabili che si chiudono nel loro sancta sanctorum e coprono con il segreto, sotto pena di scomunica, i propri dissidi interni. Il massimo rappresentante spirituale esce da questo vertice con l’incarico di dare unità alla compagine: si dice che prima di uscire, durante la vestizione, pianga per la missione forse impossibile che lo attende. Il segreto fa l’unione. Nella Torah troviamo qualcosa di simile dopo la vendita di Yossef. I fratelli si accordarono sotto giuramento di non rivelare l’accaduto al padre, che mai venne a saperlo. Il Midrash aggiunge che essendo in quel momento solo nove (Binyamin era rimasto a casa e Reuven si era allontanato), coinvolsero nell’impegno anche la Presenza Divina… Nell’ebraismo, almeno sul piano ideale, è l’inverso. Qui si tratta di proteggere il monoteismo da influenze esterne. Nel Qodesh ha-Qodashim il giorno di Kippur entra il Kohen Gadol, massimo rappresentante spirituale, rigorosamente solo. Egli simboleggia l’idea di unità, presupposto iniziale. Prima dell’ingresso i rappresentanti del popolo lo fanno giurare non su ciò che potrebbe far uscire, ma su ciò che non deve fare entrare. Con il giuramento egli si conquista la fiducia del popolo, piena e cieca, su ciò che compirà non sorvegliato all’interno: l’unità è confermata! L’unione fa il segreto. Da noi si piange prima di entrare. All’uscita il Kohen Gadol Yom Tov hayah ‘osseh le-khol ohavaw, «dava una festa per tutti i suoi amici, dal momento che era entrato nel Qodesh ha-Qodashim in pace e ne era uscito in pace»!

Rav Alberto Somekh