7 OTTOBRE – Israele abbraccia Edan Alexander, a casa grazie a Trump

Dopo 584 giorni ostaggio di Hamas, Edan Alexander è tornato libero e ha riabbracciato la madre Yael. Il soldato ventunenne con cittadinanza israeliana e americana è stato consegnato nel pomeriggio alla Croce Rossa a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, e trasferito in sicurezza alla base militare di Re’im per ricevere i primi controlli medici e psicologici. Poi, dopo quasi due anni di sofferta attesa, ha incontrato la madre, giunta in mattinata dagli Stati Uniti, e in seguito tutta la famiglia.
«Sto aspettando che la nostra famiglia torni a essere di nuovo completa», aveva detto poche ore prima Varda Ben Baruch, nonna di Edan, davanti alle telecamere. «Voglio solo che torni sano, tutto intero, sulle sue gambe». In segno di attesa, gli aveva già preparato i suoi dolci preferiti. «Spero che ogni famiglia di ostaggi possa provare presto la stessa gioia».
Israele, spiegano i media locali, non è stato coinvolto nei negoziati che hanno portato alla liberazione di Edan, condotti dall’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff e da funzionari statunitensi con Hamas, tramite canali indiretti. Solo dopo la finalizzazione dell’intesa, il governo israeliano è stato informato e ha predisposto il corridoio operativo per l’accoglienza.
La madre di Edan è arrivata oggi in Israele dagli Stati Uniti insieme all’inviato americano Adam Boehler e ha raggiunto in elicottero la base di Re’im. Al suo arrivo aveva lanciato un appello: «Non è finita. Ci sono ancora 58 ostaggi a Gaza. Non possiamo riposare, non possiamo dimenticare: tutti devono tornare a casa». Poi, rivolgendosi al primo ministro Benjamin Netanyahu: «Ha la forza per fare un accordo. Ora è il momento».
Secondo Boehler, la liberazione di Edan è solo un primo passo. «Stiamo andando a prendere ogni singolo ostaggio. Il presidente Donald Trump non stava scherzando quando mi ha detto di riportare a casa tutti. Non mi fermerò finché non saranno tutti liberi».
Poco prima della liberazione, lo stesso Trump, rispondendo alle domande dei giornalisti, aveva dichiarato: «Speriamo nel rilascio di altri ostaggi. Le famiglie vogliono indietro i loro cari uccisi tanto quanto quelli ancora in vita».
Edan, nato a Tel Aviv e cresciuto a Tenafly, nel New Jersey, si era arruolato nella Brigata Golani nel 2022. Il 7 ottobre 2023 si trovava in un avamposto militare vicino al kibbutz Nirim, al confine con Gaza, quando Hamas ha lanciato il suo attacco. Pochi minuti prima del raid, aveva rassicurato la madre al telefono: «Sto bene». È stata l’ultima conversazione tra i due. Disarmato e in divisa, è stato rapito e detenuto nei tunnel sotterranei. Apparso denutrito in un video diffuso da Hamas nel novembre 2024, è diventato uno dei simboli della prigionia.
Secondo fonti citate dalla Cnn, il suo rilascio si inserisce in un’intesa mediata direttamente tra gli Stati Uniti e Hamas, con l’obiettivo di aprire la strada a un negoziato per il cessate il fuoco. «Stiamo per entrare in trattative per un accordo di pace», ha riferito una fonte vicina ai colloqui.
Nel frattempo, il Wall Street Journal ha rivelato che Israele e Hamas hanno riattivato un canale negoziale parallelo per un’intesa più ampia, che includerebbe il rilascio di altri ostaggi e la ripresa degli aiuti umanitari. Una delegazione israeliana è pronta a partire per Doha, ha confermato Netanyahu. Quest’ultimo ha definito la liberazione di Edan «positiva», ma ha precisato: «Israele non ha concesso nulla. Le operazioni militari continueranno finché tutti gli obiettivi della guerra non saranno raggiunti». Duro anche l’intervento del ministro dell’Agricoltura Avi Dichter, vicino al premier: «Non siamo la 51esima stella sulla bandiera americana. Gli obiettivi della guerra non sono cambiati».
Dietro la liberazione odierna si cela una crescente tensione diplomatica tra Gerusalemme e Washington. «La consueta sicurezza dell’ufficio del primo ministro è svanita», ha commentato Ynet. A preoccupare Netanyahu sono almeno tre dossier: la gestione degli aiuti umanitari a Gaza, l’assetto del dopoguerra, e il delicato capitolo del nucleare iraniano. Su tutti, Trump si muove con pragmatismo e secondo interessi propri, lasciando a Israele uno spazio di manovra ridotto.
In mattinata, in piazza degli Ostaggi a Tel Aviv, i familiari degli ostaggi (58 ancora prigionieri, di cui solo 20 ritenuti vivi) hanno rinnovato la loro richiesta di un accordo globale. «Stiamo facendo tutto il possibile per riportarti a casa, anche se Netanyahu ti ha abbandonato», ha detto Einav Zangauker, madre di Matan. Poi, in inglese a Trump: «Tutto il popolo israeliano è con te. Metti fine a questa guerra. Riportali tutti a casa».
Dani Miran, padre di Omri, ha esortato il governo a scendere a compromessi: «Hamas ha già fatto il primo passo. Ora tocca a voi». Michael Illouz, padre di Guy, ha aggiunto con amarezza: «Mi dispiace di non avere un passaporto straniero».
Nel giorno in cui Edan Alexander torna libero, la sua famiglia si ricompone. Ma per decine di altre, l’attesa continua. E la pressione perché non resti un caso isolato cresce di ora in ora.