MEDIO ORIENTE – Trump ridisegna il Medio Oriente senza passare da Israele

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è tornato in Medio Oriente con un’agenda ambiziosa: ottenere nuovi accordi, riaprire i canali con vecchi nemici, e rilanciare un ordine regionale che guarda oltre i conflitti del passato. Ma lo sta facendo con una strategia che, almeno in apparenza, mette in secondo piano Israele e il suo primo ministro Benjamin Netanyahu. A Gerusalemme però i ministri di Bibi sottolineano: senza Israele, nessun accordo potrà davvero reggere.
Nel corso della sua prima visita presidenziale nella regione dal ritorno alla Casa Bianca, Trump ha scelto di visitare Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, senza fare tappa in Israele.
A Riyad, Trump ha partecipato al vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo ospitato dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. I due hanno discusso della minaccia iraniana. «Voglio fare un accordo con l’Iran, ma non possono avere l’arma nucleare. Mai», ha promesso Trump. Poi, rivolgendosi direttamente a Teheran, ha chiesto «di smettere di finanziare il terrorismo e fermare le guerre per procura».
L’apertura alla Siria
Ma la svolta più evidente a Riyad è arrivata con l’incontro con il nuovo presidente siriano Ahmed al-Sharaa. È la prima volta in 25 anni che un presidente americano si confronta direttamente con un leader siriano, annunciando la fine delle sanzioni nei confronti di Damasco. Trump ha invitato al-Sharaa a unirsi agli Accordi di Abramo e a «espellere i terroristi palestinesi» presenti nel paese. Secondo la Casa Bianca, ha anche chiesto «di assumere il controllo dei campi dove sono detenuti i combattenti dell’ISIS».
Sharaa, ex leader di un gruppo jihadista, è stato definito da Trump «un ragazzo giovane, tosto, con un passato molto forte. [Il presidente turco Recep] Erdogan pensa che possa farcela a tenere unito il paese».
Un alto funzionario israeliano, riporta Kan, ha confermato che Netanyahu, durante la sua visita a Washington lo scorso mese, aveva chiesto a Trump di non togliere le sanzioni alla Siria. Il timore israeliano è che il confine nord diventi un nuovo punto vulnerabile, sul modello dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
Ma il presidente Usa è andato avanti, citando le richieste in tal senso da parte dell’Arabia Saudita e della Turchia. A Gerusalemme, l’ufficio del primo ministro non ha commentato ufficialmente.
Il dossier ostaggi
Durante il viaggio, Trump ha anche rivendicato la liberazione di Edan Alexander, il 21enne con passaporto israeliano e americano liberato da Hamas dopo 584 giorni di prigionia. «Se non fosse stato per noi, oggi non sarebbe vivo. Probabilmente nessuno degli ostaggi lo sarebbe», ha dichiarato ai giornalisti sull’Air Force One. Nelle stesse ore i genitori di Alexander hanno ringraziato pubblicamente Trump e i suoi inviati, ma non hanno nominato Netanyahu. Hanno invece chiesto di impegnarsi subito per liberare gli altri 58 ostaggi ancora a Gaza, tra cui si ritiene 20 siano ancora in vita.
Netanyahu e lo scontro con Macron
Nel mezzo di questo scenario già complicato, si è inserita la voce di Emmanuel Macron. Il presidente francese ha criticato la politica israeliana sugli aiuti umanitari a Gaza, definendola «vergognosa e inaccettabile». Immediata la reazione di Netanyahu, che ha accusato l’inquilino dell’Eliseo di «ripetere la propaganda di un’organizzazione terroristica» e di «diffondere accuse di sangue contro lo stato ebraico».
«Israele è in guerra per la sua sopravvivenza», ha aggiunto l’ufficio del primo ministro, «e il nostro obiettivo resta quello di liberare tutti gli ostaggi, sconfiggere Hamas e impedire che Gaza torni a essere una minaccia».
(Foto – Portavoce della Casa Bianca)