OSTAGGI – Ronen Engel, volontario del Magen David Adom

Ronen Engel aveva 54 anni, «un sorriso inconfondibile e una passione per la fotografia, le motociclette e il volontariato», ricordano gli amici. Viveva al kibbutz Nir Oz con sua moglie Karina e le figlie Mika e Yuval, mentre il maggiore, Tom, era nell’esercito. Cresciuto a Ramat Aviv, nel cuore d’Israele, ma dal 2010 aveva scelto una vita diversa: insieme a Karina, immigrata dall’Argentina, aveva cercato «un posto con valori come quelli di una volta». Lo avevano trovato a Nir Oz, nel cuore del Negev, dove Ronen lavorava in agricoltura, studiava ingegneria idraulica e si dedicava al pronto soccorso come volontario del Magen David Adom.
«Anche quando arrivavamo sul luogo di incidenti terribili, riusciva a far sorridere i suoi pazienti e a far loro dimenticare i loro problemi per un momento», ha raccontato Yossi Abuharon, responsabile dei volontari del suo team. Per il fratello Dani «Ronen guardava sempre il lato positivo della vita».
La mattina del 7 ottobre, Ronen e Karina avevano in programma una passeggiata e poi il festival degli aquiloni del kibbutz. «Ma alle 6:30 del mattino è iniziato tutto e tutto è finito», ha ricordato Karina. Quando ha capito che i terroristi erano vicini, Ronen ha preso la sua arma personale e ha chiesto alla moglie di chiudersi con le figlie nel rifugio antimissile. «Quella è stata l’ultima volta che l’abbiamo visto. Ha combattuto contro i terroristi all’interno della casa, abbiamo sentito tutto».
Karina è certa che Ronen non sia stato catturato vivo: «Non è possibile che siano riusciti a portarlo fuori da casa sulle sue gambe». Verso mezzogiorno, Dani si è accorto di un nuovo post sul profilo Facebook del fratello. Sperava di trovare informazioni su Ronen e invece si è trovato davanti un video di un terrorista di Hamas, che sorrideva alla telecamera.
Mentre il marito combatteva a pochi metri da lei, Karina si era aggrappata alla porta del rifugio, cercando di tenerla sigillata. Per quasi un’ora ha resistito, poi i terroristi sono riusciti a entrare. «Ero dentro con un coltello da cucina. Sono riuscita a tenerli lontani per un po’, ma poi mi hanno picchiata». Karina, Mika e Yuval sono state rapite e separate. Per 23 giorni, le figlie sono rimaste da sole in un ospedale di Gaza prima di ricongiungersi con la madre. Un altro mese è passato prima della loro liberazione: il 27 novembre Karina e le figlie sono tornate a casa con la speranza di rivedere il marito e padre. Tre giorni dopo l’esercito ha comunicato loro la notizia più difficile: Ronen è stato ucciso e la sua salma è a Gaza. Da 587 giorni si trova nelle mani dei terroristi, assieme ai corpi di altri 37 ostaggi e ai 20 rapiti ritenuti in vita.
Karina, sopravvissuta a un cancro poco prima dell’attacco, ha cercato aiuto anche attraverso i canali diplomatici argentini e i media sudamericani. Oggi chiede che il corpo del marito venga restituito: «Abbiamo tutti bisogno di sapere che i nostri cari hanno un luogo di riposo adeguato e che abbiamo un posto dove andare. È dovere dello Stato onorare i vivi e i morti. I vivi, prima di tutto, sono un valore supremo».
Yuval, la più piccola, ha festeggiato il bat mitzvah con la sola presenza di una foto del padre. Di recente ha chiesto alla madre: «Mamma, hai già scelto un bel posto per papà al cimitero?». In una manifestazione pubblica per gli ostaggi, Karina ha lanciato un appello alla società israeliana: «Non lasciateci soli. Continuate a lottare fino a quando l’ultimo ostaggio non tornerà a casa, fino a quando non saranno tutti fuori. Solo allora potremo iniziare a guarire veramente».