DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 21 maggio 2025
L’Unione Europea ha avviato un processo di revisione dell’accordo di associazione con Israele, mettendo al centro la clausola sui diritti umani, come riferisce Repubblica. La decisione, senza precedenti, ha spaccato l’Europa: 17 Paesi si sono espressi a favore (tra cui Olanda e Austria), mentre Italia e Germania hanno votato contro. La mossa, sottolinea il Corriere della Sera, si inserisce in un crescente fronte internazionale critico verso l’offensiva israeliana a Gaza, con Londra che ha sospeso i negoziati per un nuovo trattato commerciale e convocato l’ambasciatrice israeliana. Per Libero, si tratta di una pressione che nasce da esigenze umanitarie, ma che rischia di ignorare la responsabilità di Hamas nella crisi. Il Foglio sottolinea invece i limiti dell’azione europea, accusando Bruxelles di non avere un vero piano per il “dopo Hamas” e di puntare più a segnali simbolici che a soluzioni operative.
Diversi quotidiani analizzano le mosse di Londra su Israele: oltre a sospendere i negoziati per un nuovo accordo commerciale, il governo di Keir Starmer «ha imposto sanzioni contro coloni e organizzazioni violente attive in Cisgiordania», scrive il Sole 24 Ore. «Se per un’ossessione anti-israeliana e considerazioni politiche interne, il governo britannico è disposto a danneggiare la propria economia, è una sua decisione, il mandato britannico è terminato esattamente 77 anni fa» è la replica di Gerusalemme, citata da Repubblica.
Intervistato dal Corriere della Sera, il ministro della Difesa Guido Crosetto prende nettamente le distanze dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, chiedendo l’immediato stop agli attacchi a Gaza, «inaccettabili» sia sul piano umanitario sia politico. «Ogni morte di un civile chiama un nuovo nemico… si sta creando una spirale senza fine», avverte, spiegando che l’escalation rischia di rafforzare Hamas invece che indebolirlo. Difende la linea italiana dei “due popoli, due Stati” e rivendica equilibrio: amici di Israele, ma anche attivi nel sostegno al popolo palestinese. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, intervistato da Avvenire, ribadisce che l’Italia preme ogni giorno su Israele per fermare la guerra a Gaza, ma respinge posizioni simboliche o unilaterali: serve un negoziato vero, con la liberazione degli ostaggi da parte di Hamas e lo stop ai raid da parte di Israele.
Sulla situazione a Gaza, l’Onu ha lanciato l’allarme: «14 mila bambini rischiano di morire di fame nelle prossime 48 ore». Secondo La Stampa, l’ingresso di 93 camion di aiuti umanitari – dopo settimane di blocco – è ancora largamente insufficiente, e la distribuzione resta critica. L’ex generale israeliano Israel Ziv denuncia che senza un controllo diretto e capillare sulla catena degli aiuti, ogni sforzo sarà inefficace. Aggiunge che, secondo l’intelligence israeliana, a Gaza c’è «carenza» ma non una carestia, e accusa il premier Netanyahu di debolezza politica, che rischia di isolare Israele. Sempre sul quotidiano torinese, l’ex ministro dell’interno italiano, Marco Minniti, avverte che l’escalation a Gaza rischia di trasformare i civili palestinesi in ostaggi, destabilizzare il Mediterraneo e cancellare la prospettiva di uno Stato palestinese, con il pericolo di «un’intifada globale». L’Europa, afferma, ne pagherebbe le conseguenze su sicurezza, migrazioni ed energia.
Secondo la Cnn, l’intelligence Usa teme che Netanyahu stia valutando un attacco contro le centrali nucleari iraniane. La notizia è ripresa, tra gli altri, dal Giornale, che sottolinea come il clima tra Teheran e Washington sia sempre più teso: la guida suprema Ali Khamenei ha liquidato i negoziati sul nucleare come inutili e ribadito la volontà dell’Iran di procedere autonomamente con l’arricchimento dell’uranio, definendo le richieste americane «sciocchezze». Anche il ministero degli Esteri iraniano ha ridimensionato le aspettative su eventuali nuovi colloqui, mentre il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha ammesso le difficoltà di un’intesa. In parallelo, Teheran conferma il proprio appoggio al terrorismo di Hamas. Con quest’ultimo, i negoziati indiretti di Doha su ostaggi e tregua a Gaza si sono già arenati e la delegazione israeliana è in parte rientrata a Gerusalemme.
Il recente viaggio in Medio Oriente di Donald Trump rappresenta una pesante débâcle per Israele. È la valutazione di Davide Assael su Domani, secondo cui l’incontro con il nuovo leader siriano e l’esclusione di Gerusalemme segnano un cambio di rotta che isola Netanyahu. La strategia Usa punta ora alla stabilizzazione regionale con attori prima marginalizzati, come Siria e Turchia, mentre Israele – che per Assael è guidato da un governo paralizzato dall’estremismo ideologico – rischia di perdere il proprio ruolo strategico e di compromettere il futuro del paese. Su Il Riformista, Davide Romano riprende l’idea di Marco Pannella di “israelizzare” il Medio Oriente: Israele, unica democrazia della regione, è rifugio per minoranze perseguitate e modello di libertà per arabi, cristiani, curdi e drusi, scrive Romano.
Condanne bipartisan in Israele per le parole dell’ex generale e leader del partito di sinistra Democratici, Yair Golan, che ha accusato il governo Netanyahu, di «comportarsi come un paese che uccide bambini per hobby». Ne scrivono Repubblica e Domani.
Tensione in Commissione Difesa alla Camera ieri: l’opposizione ha chiesto di sospendere un programma di acquisti tecnologici da aziende israeliane a causa della situazione a Gaza. La maggioranza ha approvato comunque il provvedimento, riportano Corriere e Repubblica.
Harvard ha un problema con l’antisemitismo, ma non accetta che sia la Casa Bianca di Donald Trump a imporre la «cura», spiega Paolo Valentino sul Corriere della Sera. L’università si oppone al diktat federale che, scrive Valentino, con la scusa della lotta all’odio antiebraico, minaccia i fondi e l’autonomia degli atenei. Harvard ha risposto con un’azione legale in nome del Primo Emendamento, difendendo libertà di ricerca e pluralismo. Il rettore Alan Garber ammette che serve una risposta interna all’intolleranza, ma rifiuta l’interferenza governativa: «Nessuno dovrebbe dire ai college cosa insegnare e chi assumere».