LA POLEMICA – Emanuele Calò: Di chi è colpa l’antisemitismo?

Pur non essendo particolarmente religioso, quanto meno dal punto di vista rituale, debbo dire che col tempo ho sperimentato un graduale disgusto e rifiuto sia per le bestemmie sia per quanto vi è di blasfemo. Non so se ciò sia dovuto a mera paura oppure a un disgusto per chi viola le regole dell’etica, che sono alla base dell’ebraismo. Sennonché, forse per via del fascino perverso per la trasgressione, assisto ad un numero crescente di bestemmie, per lo più provenienti da chi vanta, senza alcuna giustificazione, delle credenziali di taglio intellettuale, palesemente immeritate.
In questo senso, suscita particolare fastidio la tracotanza di chi attribuisce al governo israeliano la colpa del crescente antisemitismo, nella misura in cui chi lo sostiene non capisce che, così facendo, finisce per trovargli una giustificazione. Se io diventassi antisemita (essere ebreo non è più una preclusione, e lo si vede) mi vergognerei a cercare delle giustificazioni: dentro di me saprei che, se diventassi un villano, dovrei cercare il tempo per chiedere scusa e non per andare in cerca di giustificazioni.
Se un governante omosessuale compisse delle azioni indegne, nessuno potrebbe motivare l’omofobia risalendo alle azioni nefaste di un tale figuro; se un governante africano compisse delle stragi (e ce ne sono stati parecchi) chi sarebbe il pazzo che giustificherebbe il suo razzismo contro i neri dicendo di essere stato sconvolto, per dire, da Bokassa o Idi Amin?
Invece, ormai è normale sostenere che l’antisemitismo è giustificato dalla malvagità di del primo ministro Benjamin Netanyahu. Evidentemente, non solo buona parte dell’umanità ha un problema con gli ebrei, ma qualche ebreo ha un problema altrettanto grave con la sua identità, laddove fornisca giustificazioni al razzismo.
Le scuse sono ontologicamente infinite. Ad esempio, se andassimo a vedere la Jerusalem Definition of Antisemitism, vedremo che sostiene che l’ostilità verso Israele possa essere l’esito del «sentimento che una persona palestinese prova a causa dell’esperienza fatta trovandosi nelle mani di quello Stato» (“the emotion that a Palestinian person feels on account of their experience at the hands of the State); come dire che, se uno è emozionato, le cose cambiano. Per essere una dichiarazione scritta da accademici, è davvero poco scientifica e molto arbitraria.
Il campionario delle scuse è infinito, e questo è molto umano, ma chi ha pretese intellettuali e culturali, dovrebbe cercare di seguire il metodo scientifico, anziché perdere tempo e rimediare figure andando a caccia di pretesti.

Emanuele Calò