SOCIETÀ – Attenti ai camici che odiano Israele in corsia

In un tempo in cui la fiducia nella scienza sembra vacillare, il medico incarna ancora per molti la figura dell’autorità competente e imparziale. Dietro il camice bianco, però, non sempre si cela la neutralità etica che ci si aspetterebbe: un’indagine dell’organizzazione StopAntisemitism ha fatto emergere una realtà inquietante. I medici rappresentano una categoria sovrarappresentata tra coloro che esprimno pubblicamente posizioni antisemite oppure ostili nei confronti di Israele. Ed è alta la percentuale di medici formatisi fuori dagli Stati Uniti, spesso in contesti dove il pregiudizio contro gli ebrei è un fatto strutturale. L’antisemitismo importato – e cioè culturale prima ancora che individuale – si innesta così all’interno di uno dei sistemi più delicati della società, quello sanitario, con il rischio di erodere i fondamenti stessi del patto fiduciario tra paziente e curante. La questione, come racconta Tablet Magazine, non è limitata ai singoli: in modo più sottile e sistemico coinvolge le istituzioni, siano queste facoltà di Medicina, ospedali universitari, associazioni professionali. Lo stesso mondo accademico che non ha esitato a condannare l’invasione dell’Ucraina, che ha espresso solidarietà verso le vittime di razzismo sistemico o di violenza di genere, si è dimostrato spesso reticente o addirittura silenzioso di fronte alle atrocità compiute da Hamas contro i civili israeliani. Il doppio standard non è casuale, rivela un’insofferenza spesso dissimulata dietro al linguaggio dei diritti umani o della giustizia sociale. Si condanna l’odio, , ma non se è contro gli ebrei. Si difende la diversità, a condizione che Israele resti fuori dal discorso. E si dimentica, troppo spesso, che l’antisemitismo non è un relitto del passato. Come scrivono Jay Greene e Ian Kingsbury, l’istruzione non funziona più come antidoto universale al pregiudizio, anzi, l’antisemitismo può assumere forme più sofisticate – e dunque più pericolose – tra soggetti colti, in grado di giustificare la propria ostilità con una motivazione etica o politica. Non è raro che l’avversione verso Israele venga articolata come “solidarietà con i palestinesi” nonostante si manifesti in forme discriminatorie. Le istituzioni devono saper essere coerenti, serve una cultura professionale che sappia distinguere tra libertà di pensiero e incitamento all’odio, tra pluralismo e complicità morale. Un medico, che ha il dovere di prendersi cura della vita, non si può permettere di portare nel suo agire clinico un bagaglio di esclusione. E l’università, se vuole formare professionisti consapevoli, deve interrogarsi sul tipo di mondo che quegli stessi professionisti contribuiranno a costruire.