DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 20 giugno 2025
Due settimane. È il tempo che Donald Trump si è preso per decidere se intervenire militarmente contro il regime di Teheran. «Per ora ha prevalso la diplomazia», racconta il Corriere della Sera, «ma molto dipenderà dall’esito dei negoziati tra europei e iraniani a Ginevra». I leader europei vedono ancora un piccolo spiraglio per una soluzione negoziale «e provano a infilarvisi, cercando di rivitalizzare il processo che aveva portato alla firma del Jcpoa», si legge sulla Stampa. È una possibilità di cui si parla su vari giornali. Secondo Maurizio Molinari, che firma un intervento intitolato “Con il fiato sospeso” su Repubblica, la mossa di Trump «crea le condizioni per un tentativo in extremis della diplomazia».
«Non sono d’accordo con questo governo e non penso che Netanyahu sia un buon primo ministro. Ma questa volta ha preso la decisione giusta», dichiara alla Stampa il leader centrista israeliano Yair Lapid, esprimendo il proprio sostegno alle operazioni dell’Idf anti-ayatollah. «Su questo tema, a differenza di tanti altri, il popolo israeliano è unito. Tutti noi crediamo che non ci fosse altra scelta. Nessuno ne è contento. Nessuno vuole la guerra né le vittime. Nessuno vuole vedere gli ospedali bombardati. Ma è un prezzo che siamo disposti a pagare».
Un cambio di regime è possibile? «Bisogna non confondere i desideri con gli obiettivi di un’operazione militare», sostiene l’ex ambasciatore statunitense in Israele Daniel Shapiro, sentito dal Corriere. Per Shapiro, «non c’è la possibilità di organizzare una struttura alternativa che possa sfidare il governo» in carica oggi a Teheran. L’esercito israeliano, prosegue il diplomatico, «sta segnalando che questa operazione durerà circa un’altra settimana» e «questo significa che stanno pianificando una campagna con target militari molto specifici».
Il Giornale chiede un parere all’ex generale dell’esercito israeliano Yossi Kuperwasser, oggi direttore del Jerusalem Institute for Strategy and Security. Secondo Kuperwasser, un cambio di regime in Iran «è possibile ma non è l’obiettivo di Israele, può essere una conseguenza ma non attacchiamo l’Iran per realizzare un regime change, vogliamo distruggere il programma nucleare iraniano e per farlo serve attaccare le figure principali del regime».
L’israeliana Orna Tall, vicedirettrice e responsabile del dipartimento emergenze dello Shamir Medical Center, illustra al Messaggero le operazioni svolte per mettere in sicurezza pazienti e attrezzature: «Abbiamo trasferito 350 persone con respiratori e monitor. Ci eravamo dati 48 ore di tempo, siamo riusciti a farlo in venti. Abbiamo allestito, da zero, tre sale operatorie protette sottoterra, completamente al sicuro».
«L’Iran non è Gaza, in molti sensi. Estensione, forza militare, storia del regime ne fanno un avversario più temibile di Hamas, anche se meno formidabile di quanto voglia far credere», osserva Federico Rampini sul Corriere. D’altra parte «l’offensiva di Netanyahu contro la Repubblica islamica è molto più popolare fra gli israeliani di quanto lo siano i combattimenti nella Striscia» e «anche all’estero il clima è diverso», visto che pure «nazioni arabe che denunciano con indignazione le sofferenze inflitte alla popolazione palestinese, sono ambigue sull’Iran».
«Al fronte della pace serve tempo per reagire, serve una riflessione. Io spero che arrivi presto», dichiara a Repubblica l’attivista israeliana Orly Noy «Un popolo che basa la sua esistenza sulla forza militare non è destinato a finire bene. Dopo gli ultimi due anni avremmo dovuto capirlo. Se non ci sbrighiamo a farlo saremo sconfitti: non dall’Iran o dai palestinesi, ma dalla violenza cieca che si è impossessata della nostra nazione».
Per Gabriele Segre (La Stampa), «reagire con sgomento di fronte all’escalation di guerra tra Israele e Iran è giusto e comprensibile», ma «continuare a considerarla una eccezione, non più», perché «lo scontro tra i due paesi è solo l’ultimo segnale brutale di quanto la storia stia cambiando e oggi la vera sfida è decifrare quale nuova immagine del mondo potrà emergere una volta uniti tutti i puntini seminati da queste crisi infinite».
Si svolgerà domani a Roma la discussa manifestazione “contro il riarmo”. «Contro il riarmo, in realtà per l’antisemitismo, pardon, l’antisionismo e perfino i diritti di Teheran a fare ciò che crede, e se vuole la bomba, se la faccia questa bomba», accusa Andrea Marcenaro sul Foglio.