DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 25 giugno 2025
Dopo dodici giorni di guerra, Israele e Iran hanno annunciato la fine delle ostilità. Una tregua fragile, che sembrava essere saltata già poche ore dopo il suo annuncio, sottolineano i quotidiani. Decisiva la pressione del presidente Usa Donald Trump, che ha imposto il cessate il fuoco dopo uno scambio finale di attacchi tra le parti. In quello compiuto dall’Iran, sono stati uccisi quattro civili israeliani a Beer Sheva. Il bombardamento ha provocato la reazione di Israele, che ha lanciato nuovi raid su Teheran prima di essere fermata in extremis da un ordine diretto di Trump a Netanyahu. Alla fine, i jet israeliani si sono ritirati, colpendo solo un radar. La tregua ha retto nel corso della giornata, ma l’escalation ha mostrato quanto sia sottile il filo che separa la calma dal ritorno alle armi, scrivono Corriere e Stampa.
L’intelligence americana avrebbe inviato un messaggio diretto all’ayatollah Ali Khamenei con le coordinate del suo nascondiglio e un ultimatum di 24 ore per accettare il cessate il fuoco, riportano Foglio e Corriere della Sera. Khamenei avrebbe ceduto, scegliendo la tregua per evitare l’attacco. Intanto, la propaganda iraniana celebra una presunta vittoria nella «Guerra dei 12 giorni», riscrivendo i fatti per salvare la faccia del regime, mentre le analisi sui quotidiani parlano della più grave umiliazione militare mai subita dalla Repubblica islamica. Nonostante il cessate il fuoco, Teheran ribadisce che il programma nucleare «va avanti», alimentando le tensioni future con Stati Uniti e Israele.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dopo la tregua, ha definito l’operazione in Iran una «vittoria storica» e ringraziato Trump («Mai avuto un amico migliore»). Il capo del governo israeliano ha celebrato la distruzione di impianti legati al programma nucleare iraniano, l’eliminazione di vertici militari del regime e l’indebolimento delle forze responsabili della repressione interna. Secondo Netanyahu, il successo garantirà sicurezza a lungo termine per Israele. Ma l’intelligence americana, sottolinea Repubblica, resta cauta: i danni inflitti al programma nucleare iraniano sarebbero gravi ma non irreversibili. «Non sappiamo se gli attacchi fermeranno il programma atomico», scrive il Corriere, anche se «Trump dice che è stato “distrutto”».
In politica interna, la posizione di Netanyahu, dopo mesi critici, si è rafforzata: «l’83 per cento degli ebrei israeliani ha sostenuto la decisione di bombardare le centrali nucleari volute dagli ayatollah, mentre il 75 per cento ritiene che la guerra a Gaza debba finire», riporta il Corriere. Il primo ministro starebbe valutando di anticipare le elezioni previste per l’autunno 2026, puntando sul consenso ottenuto dopo l’operazione contro Teheran. Ma i sondaggi indicano che la sua coalizione non avrebbe la maggioranza. Resta alta la pressione sulla sua leadership, soprattutto per la gestione del conflitto con Hamas e dei 50 ostaggi ancora nelle mani dei terroristi palestinesi.
Intervistato dal Corriere, il generale David Petraeus, ex capo della Cia e comandante Usa in Iraq, definisce l’attacco di Israele e Usa a Teheran «giustificato e ben pianificato». L’Iran, afferma, è «drammaticamente indebolito», ma se rinuncia al programma nucleare «può restare in piedi». Nega il rischio di un Iraq 2.0: «Nessuna forza d’opposizione è pronta a rovesciare il regime». Ora, conclude, «è il momento della diplomazia».
L’analista israeliano Meron Rapoport, intervistato da Repubblica, parla di «euforia israeliana» dopo l’attacco all’Iran e la definisce «una strana ubriacatura». Anche gli oppositori di Netanyahu hanno sostenuto l’operazione: «Hanno ricostruito l’immagine di un Israele forte». Ma sotto l’unità apparente, avverte, resta «una grande delusione verso il governo». Opposto il giudizio di Fiamma Nirenstein sul Giornale, che riprende le parole di Netanyahu, parlando di «vittoria storica» di Israele e prevede un nuovo equilibrio per l’area: «Khamenei ha perso l’opzione atomica. Il vento è cambiato, il Medio Oriente non sarà più lo stesso». Più cauti gli analisti Abdolrasool Divsallar e Trita Parsi, secondo cui l’esito della guerra non porterà alla caduta del regime, ma a una stretta repressiva: «Useranno le infiltrazioni israeliane come pretesto per colpire anche i dissidenti interni», spiega Parsi. E il Corriere osserva che la caccia ai “nemici interni” in Iran è già iniziata, in parallelo alle operazioni militari.
Nonostante i dodici giorni di guerra con l’Iran, l’economia israeliana ha mostrato una sorprendente tenuta. Il Foglio racconta come l’indice della Borsa di Tel Aviv abbia raggiunto i massimi storici (+10%) ancora prima dell’annuncio del cessate il fuoco. Secondo l’economista Elise Brezis, gli investitori internazionali hanno scommesso su Israele non solo per fiducia nella vittoria militare, ma anche nella prospettiva di una stabilizzazione regionale post-conflitto. I costi della guerra superano i 20 miliardi di dollari, con danni stimati in 9 miliardi, ma le spese per la ricostruzione potrebbero tradursi in opportunità di export tecnologico.
Antonio Polito riflette sul nuovo stile della politica in guerra: ibrida, spettacolare, tutta rivolta al pubblico interno. Trump ne è l’esempio estremo: «Un impresario di wrestling», capace di bombardare l’Iran e, subito dopo, dichiarare vittoria con una giravolta. «C’è un metodo in questa follia», scrive Polito. Ma mentre i Grandi giocano sul ring globale, per i piccoli restano «morte, fame e sangue veri», conclude Polito. Per Maurizio Molinari, la politica mediorientale di Trump è una scommessa ad altissimo rischio: garantire la tregua Israele-Iran e trasformarla nel baricentro di un nuovo equilibrio regionale.
«Il giorno della partenza mi hanno chiesto se fossi impazzita a voler affrontare il rischio dei missili nel deserto e la traversata in Egitto. Purtroppo non avevo scelta». Sara Modena, consigliera della Comunità ebraica milanese, racconta a Libero il suo viaggio via Egitto, organizzato dalla Farnesina, per rientrare a Milano nel pieno del conflitto contro Teheran.
Philippe Lazzarini, capo dell’Unrwa, definisce la Gaza Humanitarian Foundation «un abominio». Ma il suo attacco riaccende le accuse sull’organizzazione Onu: complicità con Hamas, scuole anti-israeliane e protezione di membri legati al terrorismo, sottolinea Libero.
Diversi quotidiani riportano la decisione di Coop Alleanza 3.0 di rimuovere dagli scaffali arachidi, tahina e prodotti Sodastream israeliani, sostituendoli con la Gaza Cola, bibita nata a Londra per sostenere la causa palestinese. L’iniziativa, definita «simbolica e non un boicottaggio», è al centro di polemiche e contestazioni.