ISRAELE – Governo favorevole alla tregua, l’ultradestra tenta il sabotaggio

«C’è una larga maggioranza nel governo e tra il popolo israeliano a favore di un piano per il rilascio degli ostaggi. Se c’è un’opportunità, non va sprecata». Con queste parole, il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha espresso il sostegno dell’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu per un possibile accordo di cessate il fuoco con Hamas.
La sua dichiarazione arriva all’indomani dell’annuncio del presidente Usa Donald Trump: «Israele ha accettato le condizioni necessarie per finalizzare» una tregua di 60 giorni a Gaza. «Lavoreremo con tutte le parti per porre fine alla guerra», ha aggiunto, esortando Hamas ad accettare la proposta perché «la situazione non migliorerà, ma peggiorerà».
Se Washington spinge per un accordo, a Gerusalemme l’estrema destra prova a sabotarlo. Il ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir, ha lanciato un appello al collega Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, per coalizzarsi contro l’intesa. Una mossa che ha suscitato l’indignazione pubblica, con le famiglie degli ostaggi in piazza a chiedere al governo di non cedere agli estremisti. «Vergogna», è stato il messaggio del Forum delle famiglie degli ostaggi a Ben Gvir e Smotrich. Ancora più diretta Einav Zangauker, madre del rapito Matan, che ha definito l’iniziativa “miserabile”. In un post ha raccontato di aver incontrato recentemente Netanyahu: «Mi ha detto che se ci sarà un accordo e loro si opporranno o lo minacceranno, non avrà bisogno di loro perché ha un ampio margine». Poi l’appello al primo ministro: «Hai un intero popolo che vuole il ritorno degli ostaggi. Non schierarti con gli estremisti».
All’interno del governo e dei vertici militari le discussioni accese non mancano, riporta l’analista militare di Haaretz, Amos Harel, descrivendo «due discussioni tempestose nel gabinetto di sicurezza» che hanno avuto per oggetto la prosecuzione della guerra a Gaza. In quelle riunioni, il capo delle forze armate Eyal Zamir avrebbe spiegato che «gli obiettivi fissati per l’esercito sono stati raggiunti» e che una prosecuzione delle operazioni richiederebbe un nuovo mandato politico. Se Netanyahu vuole davvero fermare la guerra, ora può farlo, sostiene Harel. «Ma resta il dubbio se davvero lo voglia». Il primo ministro si trova davanti a un bivio: allinearsi alla proposta americana per una tregua o piegarsi alle pressioni dell’ultradestra. Il primo ministro si trova davanti a un bivio: allinearsi alla proposta americana per una tregua o piegarsi alle pressioni dell’ultradestra. A offrirgli una possibile via d’uscita è stato il leader dell’opposizione, Yair Lapid, che ha garantito il suo sostegno in parlamento per far approvare l’intesa.
Il capo del governo di Gerusalemme è atteso lunedì a Washington. Una visita, sottolinea l’emittente Kan, che potrebbe coincidere con l’annuncio di un accordo. «Israele è più vicino a un’intesa di quanto lo fosse in precedenza», ha dichiarato al giornalista di Ynet Itamar Eichner un alto funzionario coinvolto nei colloqui. Una dinamica «positiva» che, secondo la stessa fonte, punta non solo a una tregua di 60 giorni, ma a negoziati «mirati a porre fine alla guerra».
La bozza in discussione, presentata da Washington e sostenuta da Qatar ed Egitto, prevede una prima fase con il rilascio di dieci ostaggi israeliani vivi e la restituzione di 18 corpi. Solo in un secondo momento si discuterebbe del cessate il fuoco permanente, con nuove liberazioni graduali. Hamas starebbe valutando attentamente la proposta, ma vuole garanzie per la fine del conflitto.
Il gruppo terroristico, sottolinea ynet, oltre a negoziare con Israele, cerca di riprendersi il controllo della Striscia di Gaza. Per questo ha lanciato un ultimatum a Yasser Abu Shabaab, a capo di una milizia dell’area di Rafah. Ad Abu Shabaab, accusato di collaborazionismo con Israele, Hamas a intimato di consegnarsi entro dieci giorni. Lui, riporta ynet, ha respinto le accuse, denunciando a sua volta Hamas per essere diventata «una pedina dell’Iran» e di non rappresentare più la volontà del popolo palestinese.

(Foto ufficio del primo ministro d’Israele)