DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 3 luglio 2025
Dopo il sì israeliano alla proposta Usa di un cessate il fuoco a Gaza di 60 giorni, anche Hamas si è espresso positivamente sulla possibile intesa, pur contestandone alcuni punti, riportano i media. Il parziale via libera del gruppo terroristico è arrivato all’alba e non è presente sui giornali, che mettono in luce gli elementi principali dell’accordo e i contrasti ancora da superare tra le parti. Tra i nodi più critici rimangono le condizioni poste da Hamas, spiegano Repubblica e Sole 24 Ore, che pretende un impegno esplicito alla fine delle ostilità e al ritiro completo di Israele dalla Striscia di Gaza, mentre Israele continua a respingere qualsiasi soluzione che possa lasciare spazio a una sopravvivenza politica o militare dell’organizzazione islamista. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito che «non ci sarà alcun futuro per Hamas a Gaza», mentre il ministro della Difesa Israel Katz ha affermato che Israele continuerà a perseguire i suoi obiettivi strategici anche durante eventuali negoziati (Giornale). Secondo la proposta Usa, nella prima fase dell’accordo saranno liberati 10 ostaggi vivi e 8 salme (o 15, a seconda delle fonti), scrive La Stampa.
Sul futuro di Gaza, Israele ha ribadito di volere che sia amministrata da palestinesi locali senza legame alcuno né con Hamas né con l’Autorità nazionale palestinese, ma sostenuti da paesi arabi come Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti. Per questo, spiega il Foglio, nei 60 giorni di cessate il fuoco, si dovrà negoziare la fine del movimento terroristico: «Difficile che il gruppo accetti, continuerà piuttosto a prendere tempo mentre trattiene gli ostaggi come garanzia negoziale».
Esprime scetticismo sulla possibile fine del conflitto l’analista israeliano Nimrod Novik, già consigliere e inviato speciale dell’ex presidente Shimon Peres. Intervistato da Repubblica, Novik sostiene che Netanyahu «non rischierà la tenuta della coalizione mettendosi contro i due partiti estremisti di Smotrich e Ben-Gvir, che hanno minacciato di ritirare il sostegno al governo se porrà fine al conflitto a Gaza. Cercherà di manovrarli puntando al cessate il fuoco ma senza oltrepassare quella linea rossa». Di tutt’altro avviso è Fiamma Nirenstein, che sul Giornale descrive un Netanyahu rafforzato dal recente successo militare contro l’Iran e consapevole di avere ora una rara opportunità storica. «Israele guarda a una nuova fase diplomatica, con trattative aperte con Siria, Libano e l’orizzonte strategico puntato sull’Arabia Saudita». Hamas, intanto, è considerato indebolito, isolato, e privato del sostegno dei suoi alleati tradizionali, in particolare del vacillante regime iraniano, che intanto ha ufficializzato la fine della cooperazione con l’Aiea (Messaggero).
Per il patriarca di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, parlare oggi di «pace» è prematuro, vista l’enorme quantità di odio e sfiducia accumulata: «È una parola che userei con parsimonia», ha detto ad Avvenire, sottolineando che il primo passo resta un cessate il fuoco credibile, sebbene sia già fallito in passato e manchi ancora una visione chiara per il futuro. Il Sole 24 Ore intervista padre Simon Herro, frate francescano attivo da decenni a Gerusalemme, che denuncia «pressioni religiose e politiche, vandalismi, insulti e discriminazioni» contro i cristiani da parte di estremisti ebrei.
Mentre Netanyahu si prepara per incontrare lunedì a Washington il presidente Trump, «i ministri del suo partito, il Likud, e il presidente della Knesset (il parlamento) gli chiedono di portare a casa l’annessione della Giudea e Samaria (il nome biblico con cui gli israeliani chiamano la Cisgiordania) prima della fine della sessione politica estiva, il 27 luglio», riporta La Stampa. Dall’insediamento israeliano di Metzad, in Cisgiordania, scrive il corrispondente del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi, raccontando i desideri di chi ci vive: L’espulsione di tutti i palestinesi e la costruzione del Terzo Tempio a Gerusalemme. Domani denuncia il moltiplicarsi di attacchi di estremisti israeliani contro i palestinesi, sostenendo che avvengano «con il tacito consenso dell’esercito». Ma negli scorsi giorni anche i soldati sono stati un bersaglio. Il quotidiano racconta anche l’aiuto dell’ong Rabbis for Human Rights alla popolazione palestinese, ma sottolinea come il governo israeliano «intenda limitare i finanziamenti esteri» a questo tipo di organizzazioni.
In Islanda, il presidente dell’emittente pubblica ha proposto che gli artisti israeliani partecipino all’Eurovision solo sotto una bandiera neutrale e a condizione che sostengano i diritti umani, spingendosi fino a ipotizzare l’esclusione di Israele dalla competizione. Lo racconta il Foglio in un breve articolo intitolato: «La bandiera d’Israele non si tocca».
«Non ha suscitato un granché di attenzione giornalistica l’ultimo rapporto steso dalla relatrice speciale all’Onu, Francesca Albanese», racconta Iuri Maria Prado sul Riformista. Nel documento, prosegue il quotidiano, Albanese invita esplicitamente sindacati, avvocati, cittadini e società civile globale a boicottare, disinvestire e imporre sanzioni contro Israele. «Un manifesto da corteo bardato di kefiah», scrive Prado.
Una divisa nazista con la Stella di David al braccio. È il manifesto antisemita inserito e poi rimosso ieri mattina dallo spazio pubblicitario di una pensilina Atac a Trastevere. Qualche giorno fa ne era stato trovato un altro analogo in via Prenestina, riporta il Corriere Roma. Per il presidente degli ebrei romani, Victor Fadlun, è l’«ennesima manifestazione di un antisemitismo sempre più diffuso e inaccettabile, che trova terreno fertile in un clima pubblico avvelenato da parole irresponsabili e narrazioni cariche d’odio».
L’Otto per mille è uno dei temi affrontati dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante la recente udienza in Vaticano con il segretario di stato della Santa Sede, Pietro Parolin. I contribuenti possono destinare questa quota delle imposte alla Chiesa, ad altre confessioni o allo stato, che negli anni ha ampliato le finalità dei fondi, suscitando malumori nella Conferenza episcopale italiana, scrive Repubblica. Le frizioni sono aumentate quando il governo Meloni ha introdotto una nuova opzione per il contrasto alle tossicodipendenze, pubblicizzandola con spot in tv. Una concorrenza, spiega Repubblica, vissuta negativamente in Vaticano. «Un dissidio che ora il governo e i maggiorenti della Chiesa cercano di ricomporre», spiega il quotidiano.