DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 4 luglio 2025

C’è ancora incertezza sul possibile cessate il fuoco a Gaza, collegato alla liberazione di parte degli ostaggi. Per il Corriere della Sera, le speranze pur se tenui «sembrano un poco riaccendersi con la prospettiva della ripresa della trattativa con Hamas per una tregua di sessanta giorni». La proposta mediata da Washington, si legge, «prevede un cessate il fuoco accompagnato dalla liberazione di dieci ostaggi israeliani e la resa di diciotto uccisi, che secondo il New York Times dovrebbe avvenire in cinque tappe nell’arco di due mesi». Da parte sua Hamas «promette che non terrà alcuna cerimonia pubblica per liberare gli ostaggi, quelle del passato hanno fatto infuriare Israele». «Non è la prima volta che il negoziato imbocca l’ultimo miglio, ma finora è franato per l’opposizione ora di Israele, ora di Hamas», riferisce Repubblica. «Quel che rende diversa questa fase, però, è la spinta di Trump: le prossime ore saranno decisive». Anche La Stampa registra «progressi verso un accordo di cessate il fuoco».

«La guerra, che dopo il 7 ottobre era motivata, non ha più senso», dichiara l’ex premier israeliano Ehud Olmert in una intervista con La Stampa. «Non so se ci siano le basi legali per accusare la leadership politica e militare israeliana di crimini di guerra o genocidio, ma crimini di guerra vengono commessi: sparare contro donne e uomini palestinesi che aspettano il cibo non è tollerabile né perdonabile. Israele preferisce chiudere gli occhi, ma quella volontaria inconsapevolezza sta svanendo». Olmert era ieri a Roma, dove ha ricevuto in Campidoglio il Premio Ducci per la Pace insieme tra gli altri all’intellettuale e scrittore palestinese Sari Nusseibeh, già rettore dell’Università Al Quds.

«Abbiamo fatto arretrare il loro programma di uno o due anni, almeno secondo le valutazioni dei servizi segreti all’interno del dipartimento della Difesa», ha annunciato ieri il Pentagono, commentando l’attacco americano del 22 giugno contro i tre impianti nucleari iraniani. Ne scrive tra gli altri il Corriere, segnalando come il presidente iraniano Masoud Pezeshkian abbia intanto firmato la legge che sospende la cooperazione con l’Aiea.

Libero pubblica ampi stralci della lettera inviata dal governo Usa al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres per richiedere la rimozione di Francesca Albanese dall’incarico di relatrice speciale per i Territori palestinesi. «La signora Albanese», accusa Washington, «si è impegnata in anni di virulento antisemitismo e sostegno al terrorismo, condotta che la rende inadatta a ricoprire il ruolo di relatrice speciale e va condannata».

Uno street artist ha vandalizzato alcune pensiline dell’Atac a Roma, affiggendo una sua “opera” che raffigura un soldato nazista con la stella di David. Sandro Di Castro racconta sul Riformista che l’iniziativa l’ha riportato «a quella mattina di oltre quarant’anni fa, a quella famosa manifestazione dei sindacati che, fatti passare incautamente davanti alla sinagoga, lasciarono una bara vuota davanti all’ingresso». Bara che, ricorda Di Castro, tra i 40 feriti nell’attentato palestinese al Tempio Maggiore del 9 ottobre 1982 al quale allude, «sarebbe stata riempita qualche mese dopo da un bambino di due anni: Stefano Gaj Taché».

Sempre sul Riformista, Francesco Lucrezi si chiede se ci sia qualche “voce libera” «che salvi il Fatto Quotidiano e il M5S dalla vergogna e dall’ignominia». Il riferimento è a un testo apparso su quelle pagine a firma dall’ex senatore grillino Gianluca Ferrara in cui si chiedeva agli ebrei italiani di «uscire dal ghetto» e di «liberarsi dal sionismo, come l’Italia si è liberata dal fascismo». Nelle stesse pagine, Iuri Maria Prado si scaglia contro il boicottaggio di Israele da parte del Comune di Napoli: «Una vergogna nazionale, non diversa da quella del 1938 e, per certi aspetti, anche più grave». Perché, scrive Prado, «viene dopo, e contro, ciò che nel 1938 neppure era ancora realizzato: e cioè il diritto degli ebrei a un proprio focolare».

“Israele, non si stampi”. È il titolo di un articolo del Foglio su Isabel Allende e altri scrittori famosi «che rifiutano la traduzione in ebraico». È il caso di Sally Rooney, che però «non ha battuto ciglio quando il suo romanzo Persone normali è apparso in farsi, tradotto dalla casa editrice iraniana Shani».

Nella sua rubrica sul settimanale 7 del Corriere, Liliana Segre parla oggi di odio online. «In tempi recenti ho sentito la necessità di iniziare a impegnarmi in particolare contro le nuove modalità di hate speech», spiega Segre. «Conosco in prima persona cosa voglia dire essere attaccati. Ancor più negli ultimi tempi, indipendentemente dall’argomento, basta che intervenga o che si parli di me ed ecco che si scatenano gli odiatori».