DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 9 luglio 2025
La due giorni di incontri alla Casa Bianca tra il presidente Usa Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è conclusa senza annunci sul conflitto a Gaza. Da parte americana però, riporta Repubblica, c’è ottimismo per la firma di un cessate il fuoco di 60 giorni: secondo l’inviato Usa Steve Witkoff «resta solo un punto da risolvere» e la tregua è «massima priorità» per Washington. Il Corriere della Sera, però, insiste su alcune tensioni fra alleati: Trump pretende un accordo rapido che liberi ostaggi e fermi i raid, mentre Netanyahu frena, vuole mantenere truppe lungo il corridoio Morag vicino a Rafah. Il Giornale riporta la cautela del Qatar, mediatore tra le parti, e le pressioni dell’estrema destra israeliana per far saltare qualsiasi accordo.
Netanyahu intanto studia, sulla base di un piano del ministro della Difesa Israel Katz, una «città umanitaria» dove trasferire centinaia di migliaia di civili palestinesi. «Una prigione nella prigione», commenta un abitante di Gaza intervistato da Repubblica, che riporta come dentro l’area non ci saranno truppe, ma ong disposte a occuparsi del cibo, dell’acqua e dei medicinali. Il Giornale sottolinea le critiche al progetto di Amos Goldberg, storico della Shoah dell’Università di Gerusalemme: «Non è umanitario e non è una città. Non sarà un luogo vivibile».
In Italia per alcuni incontri istituzionali, la vice ministra degli Esteri israeliana Sharren Haskel parla del conflitto a Gaza con La Stampa. Nell’intervista, esclude categoricamente l’ipotesi di uno stato palestinese: oggi, afferma, «sarebbe governato da Hamas e celebrerebbe il 7 ottobre». Haskel ribadisce che Israele non si fermerà fino a quando il gruppo terroristico non sarà «incapace di nuocere» e aggiunge che il conflitto «con gli arabi non è territoriale ma religioso e culturale, il loro obiettivo è eliminare gli ebrei». La viceministra difende poi il diritto di Israele a creare aree sicure per i palestinesi e rivendica gli «standard altissimi» dell’esercito. Esprime sostegno alla linea di Netanyahu e Trump, sottolineando che la sicurezza viene prima di qualsiasi processo politico: «Senza forza, nessuna democrazia può sopravvivere in Medio Oriente».
Intervistato dal Corriere della Sera, l’ex premier israeliano Ehud Barak critica invece duramente Netanyahu «per la mancanza di una strategia politica nella guerra» contro Hamas. Lo accusa di agire per salvare la propria carriera e di aver rifiutato soluzioni diplomatiche sostenute anche dagli alleati. A Gaza, secondo Barak, manca una visione chiara: «Slogan vuoti e retorici non bastano». Pur riconoscendo i successi militari, avverte che senza una prospettiva politica il conflitto rischia di restare aperto e destabilizzante. Sulla soluzione dei due stati, Barak sostiene che non sia ora il momento, ma «alla fine, magari tra tre o quattro anni, sarà inevitabile negoziare i confini dello Stato palestinese, se non vogliamo che Israele abbia una maggioranza di cittadini arabi».
Secondo Il Foglio, la recente uccisione di cinque soldati israeliani a Beit Hanun, a nord di Gaza, segnala che Hamas ha cambiato modalità di combattimento: da struttura militare organizzata è passata alla guerriglia urbana. «È una situazione simile all’Iraq post-2003: il regime è caduto, ma la guerra continua», spiega Michael Milshtein del Centro Dayan.
Cinque soldati israeliani, intervistati anonimamente dal quotidiano Haaretz, hanno raccontato il trauma psicologico vissuto dopo 21 mesi di guerra, tra lutti, crolli emotivi e silenzio imposto dal conflitto. Un’inchiesta ripresa oggi da La Stampa. Il quotidiano torinese racconta anche della petizione presentata alla Corte Suprema israeliana dall’avvocata Batya Kahana-Dror, madre di tre militari, contro la direttiva che estende il servizio obbligatorio di quattro mesi. Kahana-Dror denuncia che molti soldati sono «al limite» e che alcuni si feriscono di proposito pur di ottenere una pausa.
Libero denuncia il silenzio dei media occidentali e delle istituzioni internazionali sugli stupri sistematici commessi da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre. Il nuovo rapporto «A Quest for Justice», redatto da giuriste israeliane, documenta violenze sessuali estese e deliberate, ignorate dall’opinione pubblica e dall’Onu. Per il quotidiano esiste «nuova religione» filo-Hamas, che «sacrifica la verità per ideologia». La mancata solidarietà globale verso le vittime è definita un «fallimento morale profondo».
«L’ateneo filo-palestinese di Padova che ripudia Israele e i suoi istituti», titola il Riformista, descrivendo le prese di posizione del Senato accademico dell’Università di Padova che ha deciso di di non rinnovare accordi con enti israeliani. La narrazione dell’ateneo, scrive il Riformista, è «ideologica e parziale», basata sulla «propaganda di Hamas».
In un intervento pubblicato in prima pagina, il presidente della Comunità ebraica di Milano, Walker Meghnagi, esprime la propria gratitudine al quotidiano Libero per gli articoli pubblicati su Israele e mondo ebraico. «Gli ebrei, l’Europa e il coraggio di dire la verità», è il titolo del suo testo. Sempre Libero torna sugli insulti online ricevuti dal giornalista David Zebuloni, denunciando «attacchi e intimidazioni antisemite» verso di lui.
Repubblica ricorda il giornalista Alberto Stabile, morto a 78 anni, a lungo corrispondente da Gerusalemme per il quotidiano. Nel suo ultimo libro, Il giardino e la cenere, Stabile raccontava le vicende attorno all’American Colony, storico albergo di Gerusalemme, da cui passarono, ricorda il collega Enrico Franceschini, «Larewnce d’Arabia e Winston Churchill, spie e diplomatici, leader israeliani e negoziatori palestinesi».