17 DI TAMUZ – E i digiuni diventeranno feste

«Nevuzaradan capo delle guardie del corpo, ministro del re di Babilonia (Nabucodonosor), giunse a Gerusalemme. Arse la casa del Signore, il palazzo reale e dette alle fiamme tutte le case di Gerusalemme, ogni edificio importante distrusse col fuoco». (2 Re, 25, 8-9). La distruzione ebbe inizio il 7 del mese di Av e secondo la tradizione il Tempio bruciò il 9 e il 10 del mese.
E fin dall’epoca dell’esilio babilonese i nostri padri adottarono l’uso di commemorare con digiuni le date delle più gravi sventure. E quella della distruzione dello stato ebraico, con il popolo raccolto intorno al suo Tempio, fu certamente – e per due volte: nel 586 a.e.v. ad opera dei Babilonesi e nel 70 d.e.v. ad opera dei Romani – la più grande di tutte.
Questi digiuni hanno un duplice carattere: luttuoso e penitenziale. In essi noi esprimiamo il nostro dolore per le disgrazie che ci hanno colpiti, riconosciamo che queste sono conseguenza delle nostre colpe, ci dichiariamo pentiti e imploriamo da D-o il perdono. E infine lo supplichiamo di porre fine alle nostre sventure e di farci tornare alla vita di un tempo.
Il 17 del mese di Tamuz fu aperta la breccia nelle mura di Gerusalemme, assediata ormai da sei mesi (dal 10 del mese di Tevet): ebbe inizio così la fine della resistenza ebraica e dell’indipendenza della nazione. Iniziò la nostra lunga diaspora e tutto ciò che di grande o di luttuoso ci è accaduto nei lunghi secoli (dall’anno 70) della nostra dispersione in tutti i paesi del mondo.
Secondo la tradizione il 17 Tamuz (quest’anno il 13 luglio, giorno di digiuno dall’alba all’uscita di tre stelle in cielo la sera) è un giorno tragico fin dai tempi di Mosè. Proprio in questo giorno Mosè scese dal Sinài dopo aver ricevuto i Dieci Comandamenti. «Ora, quando Mosè si avvicinò all’accampamento e vide il vitello e le danze, si accese il suo sdegno, gettò dalle sue mani le tavole, mandandole in pezzi ai piedi del monte». (Esodo, 32, 19).
In questi “giorni fra le ristrette” (ben ha-metzarim) come li hanno chiamati i nostri Maestri, dal 17 Tamuz al 9 Av (quest’anno dal 13 luglio al 3 agosto) – si sono addensati nel corso dei secoli gli avvenimenti più tragici della storia ebraica antica e moderna. Dalla rottura delle Tavole alla punizione di vagare per 40 anni nel deserto dopo il racconto degli esploratori (9 Av), alla duplice distruzione del Tempio di Gerusalemme. Dalla cacciata degli Ebrei dalla Spagna (1492) ai giorni tragici dello sterminio negli anni bui del nazismo. In queste tre settimane non si celebrano matrimoni, e ci si astiene in genere dall’iniziare ogni cosa nuova. Molti non si fanno la barba e non si tagliano i capelli. Queste proibizioni diventano più severe nella settimana in cui cade il 9 di Av, unico giorno di digiuno lungo come quello di Kippur.
In questi anni che il Signore ci ha dato di vedere la rinascita del nostro popolo in Erez Israel, si è discusso se i quattro digiuni obbligatori (ta’anioth zibbur) – tutti legati ai tragici eventi della distruzione del Tempio – vadano mantenuti con le stesse regole ancora oggi. Si è deciso che riflettere sulle ragioni e le responsabilità che portarono a quei tragici giorni sia senz’altro utile.
A cominciare dalle tragiche contrapposizioni del popolo ebraico – la sinat hinnam – che vediamo ancora oggi quanti lutti procura. Ma non mancherà di avverarsi la promessa del Signore: «Il digiuno del 4° mese, quello del 5°, quello del 7° e quello del decimo diventeranno per la casa di Jehudà giorni di allegria e di giubilo, e feste liete». (Zaccaria, 8, 19).
Morè Leone Chaim
(Nell’immagine, un dettaglio dell’Arco di Tito: i soldati romani trasportano i tesori del Tempio di Gerusalemme)